Pietro, Vincenzo, Alessandro, Fulvia, Cinzia, Massimo, Luciano, Maria Adelia, Virginia…

Per il giornalismo civico dietro un fatto, dietro numeri e accadimenti, ci sono sempre le persone. Alla vigilia della sentenza del processo Ambiente Svenduto il nostro pensiero va al popolo tarantino tutto.

A Taranto, lo abbiamo detto e scritto ripetutamente, è in atto una delle più gravi ingiustizie ambientali d’Europa e la sentenza attesa dopo qualunque essa sarà, sarà storica.

Anche per questo rilanciamo la ricostruzione dal 2005 al 2021, per gentile concessione di Alessandro Marescotti, presidente di Peacelink, sulla complessa vicenda. Lo ringraziamo per non aver mai smesso di indagare, studiare, documentare ciò che è successo nella sua città e mettere a disposizione di tutti il suo metodo di monitoraggio civico, indispensabile per dimostrare con precisione e accuratezza ciò che sta tutt’ora succedendo.

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Come è nata l’indagine Ambiente Svenduto.


Tutto parte dalle analisi sul pecorino contaminato da diossina, consegnate da PeaceLink in Procura a Taranto nel 2008; nei tre anni precedenti erano stati acquisiti i dati delle emissioni di diossina dell’ILVA. Nel 2012 vengono consegnate alla magistratura le perizie. Si attende adesso la sentenza.

Su sollecitazione di un amico, ho buttato giù una breve storia dell’ILVA dal 2005 a oggi. Poche righe, anno per anno, con le inevitabili lacune dovute alla sintesi.

Breve storia della mobilitazione civile a Taranto contro l’inquinamento #ILVA

2005 – I cittadini di Taranto scoprono, facendo ricerche sugli archivi elettronici delle emissioni industriali, che a Taranto c’è la diossina (mai le autorità ne avevano parlato); fra la popolazione di Taranto comincia a diffondersi la voce che questo potente cancerogeno potrebbe fuoriuscire dall’ILVA.

2006 – Un anno dopo i cittadini scoprono che a Taranto non è stata mai acquistato alcuna attrezzatura per misurare la diossina: le autorità sono prive di strumentazione idonea; PeaceLink denuncia: “Taranto è la Seveso del Sud”.

2007 – Le emissioni di diossina dell’ILVA di Taranto arrivano a toccare il 90,3% del totale industriale nazionale (la denuncia, come nel 2005, è di PeaceLink); vengono denunciate le lentezze della Regione Puglia; l’Arpa fa i primi monitoraggi sulla diossina ILVA; dai dati si scopre che dall’Ilva viene emessa diossina equivalente a 10 mila inceneritori; Emilio Riva denuncia Giulio Farella, Alessandro Marescotti e Franco Sorrentino perché in una conferenza stampa diffondono i dati ufficiali delle emissioni di mercurio dallo stabilimento; l’accusa è di “procurato allarme” e “diffamazione”; la denuncia viene archiviata dalla magistratura; con i fondi raccolti per la difesa legale viene deciso di fare delle analisi ambientali.

2008 – I cittadini di Taranto commissionano analisi di diossina su sangue, latte materno e matrici alimentari; e così si scopre che a Taranto la diossina è entrata nel corpo umano e anche negli animali perché il pecorino risulta contaminato oltre i limiti di legge; dai dati di quest’ultimo parte un esposto a firma di PeaceLink; iniziano le indagini della magistratura (“avvelenamento delle sostanze alimentari”); il 29 novembre scendono in piazza 20 mila persone contro la diossina chiedendo una legge antidiossina; è la più grande manifestazione mai svolta fino ad allora a Taranto.

2009 – Il benzo(a)pirene cancerogeno supera i limiti di legge e ARPA certifica lo sforamento; nuova manifestazione di 20 mila persone a Taranto, promossa (come l’anno precedente) dal coordinamento Altamarea.

2010 – Maxisforamento di benzo(a)pirene cancerogeno, la Procura accelera le indagini ed ordina le intercettazioni telefoniche; Vendola ride al telefono con Archinà e viene intercettato. Il governo il 13 agosto, mentre la gente è in vacanza, sospende il limite per il benzo(a)pirene con una norma nascosta in un DPR.

2011 – Vendola dichiara pubblicamente la sua stima per Emilio Riva (che l’anno dopo verrà posto agli arresti con l’accusa di disastro ambientale); il Fondo Antidiossina di Fabio Matacchiera commissiona le analisi sui mitili, si scopre che la diossina è entrata nelle cozze; scatta un nuovo fronte di indagine; ancora una volta sono i cittadini a indagare e ad esporsi; nel traffempo viene approvata una pessima AIA (Autorizzazione Integrata Ambientale) ma il sindaco di Taranto Ippazio Stefano non fa giungere alcuna prescrizione a tutela dell’ambiente e della salute; la Regione Puglia parla di “passaggio di valenza storica”; in realtà l’AIA concede all’ILVA un +50% di capacità produttiva, salendo da 10 a 15 milioni di tonnellate annno di acciaio (una enormità, uno sproposito).

2012 – Perizie chimica ed epidemiologica ordinata dal GIP Patrizia Todisco; la magistratura con quelle perizie ravvisa un “disastro ambientale” e un eccesso di mortalità causato dall’ILVA; la magistratura sequestra gli impianti dell’area a caldo, senza facoltà d’uso; il 15 dicembre una folla di trentamila persone sfila a sostegno della magistratura; subito dopo il parlamento vota la prima legge salva ILVA in gran velocità; è la prima di una lunga serie di leggi salva-ILVA che il M5S dichiara di voler cancellare, senza poi mantenere le promesse una volta arrivato al governo.

2013 – La Corte Costituzionale non boccia la legge salva ILVA ma il consenso è condizionato all’esecuzione rapida della messa a norma degli impianti dell’area a caldo dello stabilimento, entro l’anno successivo (notare bene: al 2021 non sono ancora stati completati i lavori di messa a norma).

2014 – I cittadini si rivolgono alla Commissione Europea (grande lavoro di Antonia Battaglia) che avvia una procedura di infrazione per violazione della direttiva sulle emissioni industriali; intanto emergono i dati dell’Istituto Superiore della Sanità sull’eccesso di tumori infantili a Taranto (+54% rispetto alla regione); intanto comincia il procedimento penale davanti al GUP (Giudice dell’udienza preliminare); le udienze preliminari davanti al GUP Vilma Gilli iniziano il 19 giugno 2014.

2015 – I cittadini accusano il governo di dare aiuti di Stato all’ILVA, la denuncia arriva alla Commissione Europea; l’ILVA fallisce, ha quasi tre miliardi di euro debiti, la vicenda approda al tribunale fallimentare di Milano.

2016 – Il governo avvia la messa in vendita dell’ILVA ma nessuno la vuole comprare perché gli impianti sono fuori norma e il mercato dell’acciaio non tira più come prima. Intanto nel quartiere Tamburi si verificano eccezionali ricadute di diossina.

2017 – Il governo rifà il piano ambientale ILVA in senso peggiorativo spostando al 2023 i lavori che dovevano essere completati nel 2014; gli ambientalisti si ribellano.

2018 – Il governo offre l’immunità penale e ArcelorMittal decide di prendere in fitto l’ILVA, in vista dell’acquisto. PeaceLink incontra il neo-ministro dell’Ambiente Sergio Costa (M5S) portando un dossier per chiedere la chiusura dell’area a caldo; ma il M5S cambia linea sull’ILVA e abbandona le promesse della campagna elettorale. Di Maio annuncia installazioni di nuove tecnologie (mai installate) e consistenti tagli di inquinamento (inesistenti, anzi le emissioni aumentano).

2019 – La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) condanna l’Italia per violazione dei diritti umani (grande lavoro di Daniele Spera e Lina Ambrogi Melle); l’inquinamento dello stabilimento invece di diminuire aumenta e il ministro Di Maio a Taranto su questo viene categoricamente smentito (aveva detto che l’inquinamento sarebbe diminuito); ArcelorMittal fa male i conti e comincia ad accumulare perdite che oscillano fra i 2 milioni e i 2 milioni e mezzo di euro al giorno; la perdita complessiva del 2019 arriva a 865 milioni di euro (se i lavoratori fossero rimasti a casa senza lavorare, ArcelorMittal avrebbe perso di meno).

2020 – ArcelorMittal non ce la fa più a tamponare le perdite che arrivano a superare i 100 milioni di euro al mese; la multinazionale decide di spegnere gli impianti e di andare via; il M5S trattiene per la giacca la multinazionale: non deve abbandonare Taranto.

2021 – il TAR, con una sentenza storica, dispone che gli impianti dell’area a caldo vanno fermati perché malfunzionanti e pericolosi; la questione passa al Consiglio di Stato; i cittadini si trasferiscono a Roma con le croci bianche delle vittime dell’inquinamento in attesa della sentenza del Consigio di Stato (grande lavoro di Massimo Castellana, Cinzia Zaninelli, del Comitato per Taranto e di Giustizia per Taranto); il Consiglio di Stato temporeggia in attesa della sentenza del processo ILVA, che sta per arrivare a conclusione; i pubblici ministeri chiedono condanne con pene fino a 28 anni di reclusione.

Note: Una dettagliata cronologia dal 2005 al 2007 di Daniele Marescotti per conto dell’agenzia stampa Redattore Sociale è qui

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