RIngraziamo il prof. Marino Ruzzenenti, uno dei principali protagonisti del nostro documentario “Io non faccio finta di niente” sulle lotte civiche per le bonifiche a Brescia per questo importante contributo e aggiornamento sulla situazione a Brescia, in merito al sito di interesse nazionale, uno dei più contaminati d’Italia e forse al mondo.

Proprio Marino Ruzzenenti, storico dell’ambiente, nel 2001 contribuì, con i medici del lavoro Celestino Panizza e Paolo Ricci, a far emergere il grave inquinamento da PCB e diossine nella zona adiacente l’industria chimica Caffaro a Brescia, promuovendo la costituzione del Comitato popolare contro l’inquinamento zona Caffaro. Autore di moltissime pubblicazioni a carattere storico ed ambientale, nel 2021 ha pubblicato “Veleni negati, Il caso Caffaro, Edizioni Jaca Book e nel 2020 con Pier Paolo Poggio il saggio “Primavera ecologica, mon amour”, sempre Edizioni Jaca Book. Ha scritto tra gli altri “Un secolo di cloro e… PCB. Storia delle industrie Caffaro di Brescia”, Jaca Book, Milano 2001 e sempre con Pierpaolo Poggio  “Il caso italiano: industria, chimica e ambiente”, 2012.

E’ ancora fresco di stampa il mio libretto che aggiornava su fatti e misfatti di venti anni di cattiva
gestione del “SIN Brescia-Caffaro” (M. Ruzzenenti, Veleni negati. Il caso Caffaro, Jaca Book,
Milano 2021 ) e sono già necessarie alcune aggiunte di due novità rilevanti intervenute nei primi tre mesi del 2022.

Quelle aree “dimenticate” tutte da bonificare

La prima riguarda una problematica in verità antica, che si trascina irrisolta fin dall’esplodere del
caso Caffaro”: l’errata e clamorosamente sottodimensionata perimetrazione del SIN (sito di interesse nazionale, ndr) che ha escluso fin dall’inizio, e tutt’ora esclude, oltre la metà delle aree e dei terreni inquinati da diossine e PCB.
Quando si procedette alla perimetrazione del SIN, nel 2003, contrariamente a quanto previsto dalla
norma, solo una parte minoritaria dell’area inquinata venne compresa nel SIN, esattamente 262 ettari
rispetto ai circa 700 ettari certificati dall’Arpa contaminati da diossine, PCB, metalli pesanti, la
quale stima in 3milioni 128mila 613 metri cubi, il terreno da bonificare, esterno allo stabilimento.

Nel 2003, dunque, si introdusse un “criterio” del tutto inconsistente sia sul piano tecnico che
ambientale, immaginando che la ferrovia Milano-Venezia, che taglia trasversalmente da Ovest ad
Est il territorio del comune di Brescia e dell’area di cui trattasi, avesse anche interrotto la diffusione
a valle dell’inquinamento da parte delle rogge, che invece, ovviamente, bypassano la linea
ferroviaria e, come già accertato all’epoca dall’Arpa, continuano oltre la ferrovia, esse stesse
inquinate e portatrici della contaminazione sui suoli circostanti.

Le contraddizioni del SIN di Brescia


Il primo paradosso di tal situazione è che i cittadini che vivono in aree inquinate, ma risultate
esterne al perimetro del SIN, non per questo si trovano meno esposti ai rischi per la loro salute.
Infatti, anch’essi, come quelli a nord delle ferrovia, da oltre 20 anni, sono sottoposti ad una
pesantissima Ordinanza sindacale del Comune di Brescia che interdice loro o limita l’uso dei suoli.
Del resto i livelli di inquinamento in certi casi sono elevatissimi anche a sud della ferrovia: si
superano di oltre dieci volte i limiti per le diossine, quindi ben al di sopra quelli previsti per i terreni
ad uso industriale, con situazioni che sono sovrapponibili a quelle della zona A di Seveso a suo
tempo evacuata.


Altro paradosso è che, mentre il Ministero nel 2014 sollecitava gli Enti locali a rivedere il perimetro
del SIN comprendendovi tutti i terreni inquinati, nel 2016 il Comune di Brescia invece ne chiedeva
sostanzialmente l’azzeramento escludendo dal suo perimetro tutti i terreni privati inquinati, istanza
fortunatamente subito cassata dal Ministero dell’Ambiente.
Infine, terzo elemento di scandalo, dopo venti anni per le aree private esterne al SIN (giardini ed orti)
non è stata programmata né prevista alcun ipotesi di bonifica e messa in sicurezza, abbandonando i
cittadini a convivere con sostanze supertossiche e cancerogene, come diossine e PCB, di cui
recentemente l’Ats di Brescia e l’Iss hanno certificato i danni alla salute (patologie
cardiocircolatorie, tumori…).


Ora è urgente rimettere mano al problema procedendo ad una corretta riperimetrazione che deve
comprendere tutti i suoli che sono sottoposti ad Ordinanza sindacale e che sono certificati dall’Arpa
inquinati, mentre una gestione unitaria del Sin deve predisporre con urgenza anche un pre-
progettazione di fattibilità tecnico-economica della bonifica-messa in sicurezza di tutte le aree
private esterne allo stabilimento, dove vivono decine di migliaia di cittadini.


Questa revisione è imposta sia da quanto previsto dall’art. 17 bis del Testo del decreto-legge 6
novembre 2021, n. 152
, che impone questa operazione per tutti i SIN, sia in vista della potenziale
disponibilità di oltre 250milioni di euro di risorse a titolo di rimborso in favore del Ministero dei
costi per la riparazione primaria e compensativa del danno ambientale nel Sin “Brescia Caffaro”, di
cui alla sentenza della Corte di appello di Milano di condanna di LivaNova PLC del 28 ottobre
2021. (Per approfondire ulteriormente sempre su Ambiente Brescia a questo link e a questo link)

Lo studio sulla contaminazione del latte materno di Ats Brescia

La seconda notizia è la pubblicazione, nel marzo 2022, di uno studio dell’Iss sulla contaminazione
da diossine e PCB del latte materno in provincia di Brescia, reso noto dall’Ats di Brescia con
ingiustificato ritardo di quasi 3 anni. Forse la pubblicazione è avvenuta in seguito all’uscita del libro, Veleni negati sopra citato: qualcuno all’Ats si è sentito chiamato in causa dal titolo e quindi in obbligo di aprire qualche crepa nello storico “negazionismo” dell’Asl di Brescia.


Tuttavia, se si esamina lo studio costruito nel 2015 ai tempi del negazionismo ancora imperante
dall’Asl di Brescia a parole con l’intenzione di verificare il grado di contaminazione nelle donne
residenti nel SIN Caffaro si scopre con sorpresa che proprio quest’ultimo è del tutto ignorato: infatti
per quanto riguarda il campionamento georeferenziato delle donne da arruolare, le 41 donne esposte
provengono da zone remote rispetto al SIN Caffaro, tanto è vero che in tutto lo studio neppure si fa
cenno alla Caffaro come possibile fonte di questi contaminanti, ma le “esposte” sarebbero
genericamente “donne residenti a Brescia e zone limitrofe a presumibile esposizione incrementale a
questi inquinanti (DGD 1 Brescia città, DGD 2 Brescia hinterland e DGD 3 Valle Trompia)”, zone
maggiormente industrializzate, rispetto alle “non esposte” residenti nella bassa bresciana, area
prevalentemente agricola e a minor concentrazione industriale, come da figura 1 dell’Allegato 1.


In verità, dunque, si tratta di donne tutte mediamente “esposte”, anche se con un gradiente
leggermente diverso e con intensità molto minore rispetto al SIN Caffaro. Dunque lo studio, a causa
dell’impostazione decisa a suo tempo dall’Asl di Brescia, non ci dice nulla sulla contaminazione
del latte materno da diossine e PCB nel sin Caffaro, ma dimostra ciò che può considerarsi scontato,
ovvero che in aree maggiormente industrializzate, in particolare ad alta intensità di metallurgiche, è
maggiore la presenza di diossine e PCB nel latte materno
, anche se lo scostamento è tutto sommato
minimo, di 1,33 volte mediamente, a conferma che sia le “esposte” che le “non esposte”
appartengono a “un fondo” in gradazione diversa inquinato. Comunque anche questa
contaminazione “di fondo” rilevata a Brescia risulta preoccupante alla luce dei limiti sempre più
restrittivi che vengono richiesti per l’assunzione settimanale tollerabile per diossine e PCB diossina
simili negli alimenti.

Marino Ruzzenenti, Brescia 14 aprile 2022.

Io non faccio finta di niente” è disponibile in streaming su Distribuzioni dal Basso OpenDDB

A questo link tutti i nostri articoli e inchieste dedicati alla comunità di Brescia e al SIN Caffaro dal 2013 a oggi.

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