A qualche mese dal lancio della nostra ReattiviX School, in vista della scadenza del recepimento della direttiva europea sul Whistleblowing previsto per venerdi 17 dicembre 2021, riproponiamo una serie di interviste e approfondimenti con i nostri relatori. Oggi l’intervista a Philp Di Salvo, attivista per i diritti umani digitali, ricercatore, studioso e giornalista freelance italiano, uno dei massimi esperti italiani sul tema.

“Le storie di Snowden e Manning, per cominciare, si assomigliano per certi versi perché entrambi sono dal mio punto di vista gli archetipi dei whistleblowers contemporanei”.

Comincia così l’ultimo incontro della “ReattiviX School – Coscienze civiche contro l’illegalità” con Philip di Salvo, attivista per i diritti umani digitali, ricercatore, studioso e giornalista freelance italiano che ha avuto la possibilità di interfacciarsi e intervistare i protagonisti dei più grandi casi di whistleblowing, a livello internazionale, dell’ultimo decennio.

Insieme a lui, abbiamo ripercorso le storie di Edward Snowden e di Chelsea Manning, il caso di Julian Assange e quello che si è scoperto con le rivelazioni di Cambridge Analytica.

“Manning, quando mandò a WikiLeaks più di 600.000 documenti segreti e riservati provenienti dagli archivi dell’esercito o dell’Intelligence degli USA era una soldatessa e, di conseguenza, è stata giudicata e condannata da una corte marziale. Snowden, invece, era un analista di alcune agenzie di Intelligence degli USA ma, a differenza di Manning, era un ‘civile’ quindi, la sua vicenda legale, ha avuto tratti differenti. Entrambi, però, sono stati accomunati dall’essere accusati ai sensi dell’Espionage Act: una legge del 1917 che fu lanciata negli USA per punire i traditori della Prima Guerra Mondiale, quindi siamo ancora nell’ambito dello spionaggio militare novecentesco”

Di Salvo riflette ancora sulle questioni d’oltreoceano, riscontrando pregi e difetti della più ‘grande democrazia mondiale’: “sotto le due amministrazioni Obama, un problema che è scaturito, è che i whistleblowers vengono colpiti, indagati e condannati proprio con questa legge, in particolare i whistleblowers che si occupano di National Security o dei segreti delle più alte sfere del governo degli Usa. La considero un’equazione problematica perchè anche quando i whistleblowers rivelano informazioni segrete o confidenziali relative a questi temi, diventano fonti giornalistiche. Sia Manning che Snowden hanno collaborato con testate giornalistiche: Manning con ‘WikiLeaks’, Snowden con il ‘The Guardian’ o con Glenn Greenwald. Da questa collaborazione con la stampa sono, poi, partiti dei veri e propri casi mediatici, i più importanti dell’ultimo decennio”.

Tra queste vicende si inserisce il caso di Julian Assange che, come ci racconta Di Salvo, è una storia un pò diversa: “perché Assange di per sé non è un whistleblower – è un ‘editore’ – e, infatti, è responsabile di quella che io considero una testata giornalistica, ovvero WikiLeaks. Al momento Assange si trova in carcere nel Regno Unito (ndr ma è stata appena approvata la sua estradizione come sempre Philip Di Salvo ha scritto su Domani) e su di lui pende una richiesta di estradizione negli USA che, qualora venisse concessa, lo vedrebbe andare a processo negli Stati Uniti, ancora una volta ai sensi dell’Espionage Act. Il Regno Unito ha bloccato l’estradizione negli USA perché le autorità inglesi temono che lì possa essere incarcerato in condizioni troppo severe per il suo stato di salute, sia fisico che mentale”.

Spiegaci la differenza dei casi citati…

“La differenza rispetto a Manning e Snowden è il ruolo: Assange non è la fonte ma il ‘pubblicatore’ delle informazioni segrete. Un’eventuale estradizione e condanna di Assange significherebbe un precedente pericoloso perchè se fa giurisprudenza il fatto che è reato e viene considerato spionaggio pubblicare documenti o informazioni segrete, la prossima volta che il ‘New York Times’, il ‘Washington Post’ o un’altra testata vorrebbero fare un’inchiesta su questi temi potrebbe trovarsi a fronteggiare accuse simili.
Sulla figura di Assange e sull’esito legale si gioca una partita davvero importante. Per di più, Assange non è neanche un cittadino americano ma australiano e ciò potrebbe comportare un altro rischio: ad esempio, se un giornalista italiano facesse un’inchiesta sulla base militare di Sigonella potrebbe rischiare i suoi stessi capi d’imputazione e ritrovarsi nelle sue stesse circostanze e nella medesima situazione”
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Diritti, democrazie a whistleblowing, quanto sono stati importanti questi casi?

“La cosa interessante credo è che a Manning e Snowden dobbiamo alcuni dei dibattiti più importanti dell’ultimo decennio in ambito di diritti civili, dei diritti digitali e il ruolo delle tecnologie nelle società contemporanee: se la sorveglianza è diventato un tema di dominio pubblico, di discussione aperta nelle democrazie lo si deve all’atto di whistleblowing di Snowden. Manning, invece, ci ha consentito di conoscere dettagli altrimenti non accessibili sui conflitti in Afghanistan o in Iraq e le sue rivelazioni sono ancora oggetto di studio e di analisi. Il contributo di entrambi alla democrazia e al dibattito pubblico credo sia enorme.

E’ solo grazie al whistleblowing che queste questioni sono venute a galla. Poi, i loro sono i nomi più celebri e importanti, ma si potrebbe estendere il discorso anche ad esempio al caso ‘Cambridge Analytica’.” 

Quello di Cambridge Analytica si può considerare un altro caso spinoso, magari ci può sembrare distante dalla nostra quotidianità ma, invece, come ci ha spiegato Philip Di Salvo, interessa tutti.

Cambridge Analytica è un altro caso giornalistico tra i più importanti a suo modo dell’ultimo decennio: scoppia nel 2017 quando un altro whistleblower – Christopher Wylie- già tra i fondatori di Cambridge Analytica, azienda ‘oscura’ che aiutava i suoi clienti, tra cui diversi partiti politici conservatori, a migliorare la propria presenza e propaganda sui social media. Grazie a Wylie, che si è autodenunciato, abbiamo scoperto che c’era un problema importante nel modo in cui Cambridge Analytica era entrata in possesso dei dati degli utenti Facebook, 90 milioni in tutto il mondo, e come questi dati sono stati sfruttati per creare dei modelli predittivi su cui basare poi la propaganda e le campagne di influenza. anche in quel caso è dovuto arrivare un W affinché scoppiasse la bolla per avere accesso a informazioni che altrimenti non avrebbero avuto modo di raggiungere il pubblico.

Ecco gli esempi pratici di whistleblowing, con una riflessione:

“Messe insieme, tutte queste vicende, a mio avviso ci dicono una cosa: la società dei dati (data file society) e molte delle sue dinamiche sono purtroppo ben poco trasparenti e in molti casi serve un whistleblower affinché diventino di dominio pubblico e questo è problematico perchè significa che altre modalità e strategie di trasparenza non hanno funzionato: serve, quindi, un ‘insider’ che in questo senso sollevi la questione e la porti al grande pubblico. Paradossalmente questo avviene in particolare in relazione a temi molto tecnologici che non dovrebbero seguire queste dinamiche di ‘segreto novecentesco’. Per un decennio ci hanno raccontato che la società dei dati e i ‘big data’ sarebbero stati il trionfo della trasparenza e del decision making più efficiente possibile, invece ci troviamo in un mondo che forse è ancora più segreto di quello precedente. Riscontro che è con il whistleblowing che iniziano questi dibattiti e, almeno da un decennio a questa parte, il whistleblowing ha cambiato il mondo perché ha consentito a questi temi di raggiungere in qualche modo il grande pubblico”.

Il cosidetto “terzo canale” per le segnalazioni anonime

Con Philp Di Salvo abbiamo provato a entrare nello specifico incalzandolo sul suo pensiero riguardo al cosiddetto ‘terzo canale’ per le segnalazioni. Ne avevamo discusso anche con la professoressa Nicoletta Parisi – la quale si diceva preoccupata per il ruolo, in particolare in Italia, della stampa e dei media, ma anche con Davide Del Monte il quale si augura che il giornalismo d’inchiesta diventi un ‘megafono’ per gli attivisti nel contrasto alla criminalità.

Sicuramente, si deve instaurare una certa fiducia tra il segnalante e chi riceve la segnalazione, e Philip argomenta dicendo che: “di per sé il whistleblowing è uno strumento, è un modo in cui i giornalisti e le redazioni hanno per ottenere informazioni. Questo è solo il primo step verso quella che è poi la pubblicazione di una storia e la sua circolazione all’interno dell’opinione pubblica. Nel momento in cui una redazione o un giornalista riceve delle informazioni, è a quel punto che inizia il lavoro giornalistico, in particolare se il contributo della fonte è arrivato inaspettato e quindi se non c’è un rapporto precedente, pregresso, con la fonte. A volte capita di avere degli scambi continuativi nel tempo (tutti i giornalisti hanno le loro fonti anonime o meno, o comunque i loro riferimenti all’interno di determinate istituzioni). Se però arriva una segnalazione come è nel caso delle piattaforme di whistleblowing come la vostra, gestita da GlobaLeaks, in modo anonimo, voi non sapete nulla della persona che vi dà le informazioni: in quel caso inizia lì il lavoro giornalistico. Di quell’individuo voi non sapete nulla, ricevete dei documenti o dei dettagli che vi sembrano interessanti e allora il lavoro inizia lì, non finisce lì”.

Inoltre, sottolinea l’importanza del lavoro di “redazione” quando arrivano notizie ‘scottanti’ da rielaborare: “sta a chi riceve capire se e in che modo quelle informazioni possono essere effettivamente di interesse pubblico. E’ chiaro che gli strumenti anonimi si prestano anche a utilizzi che col whistleblowing possono centrare poco. Ho da poco pubblicato un paper dedicato a SecureDrop (piattaforma software gratuita per la comunicazione sicura tra giornalisti e fonti, ndr.) e ho capito parlando con diversi giornalisti che gran parte del materiale che arriva è inutile, non utilizzabile o comunque non di interesse. E’ chiaro che lo strumento anonimo a volte si presta a degli abusi o comunque a degli utilizzi non di interesse per i giornalisti e, allora, a maggior ragione insisterei sul lavoro di ‘filtro’ di chi riceve documenti, dati o “soffiate”. Come dicevo, non tutto quello che si riceve è di interesse: anche all’interno di, ad esempio, un ‘leak’ con migliaia di documenti, probabilmente, quelli davvero notiziabili saranno una piccola percentuale ed è lì che sta proprio prendere delle decisioni giornalistiche o editoriali”

A cosa servono le piattaforme di whistleblowing?

Anche le tecnologie informatiche possono essere utili per chi segnala o per chi riceve una segnalazione. Non è più il tempo dei documenti consegnati in una busta di plastica o in una di carta ma esistono strumenti online molto più efficienti e sicuri. A quel punto comincia il lavoro di verifica, di vaglio e di approfondimento e, come ricorda Di Salvo: nessuna piattaforma di whistleblowing ti porterà al prossimo ‘Snowden’ nel giro di una settimana. Arriveranno segnalazioni utili, altre saranno da dimenticare oppure alcune che quasi vi faranno ridere. Per l’occasione, vi svelo un aneddoto che mi raccontò un giornalista di MotherBoard: c’era un rapper che sperava di farsi pubblicare da Vice e inviava tramite SecureDrop il suo mixtape nella speranza che qualche giornalista gli desse attenzione, mentre in redazione si aspettavano segnalazioni di violazioni di diritti umani o di strani casi di hacking. Effettivamente, può succedere un pò di tutto”.

Da buon giornalista sottolinea che: “ad ogni modo, a fare la differenza, più che lo strumento è la qualità del lavoro giornalistico che si applica a quello che succede. E’ chiaro che non bisogna confondere la piattaforma del whistleblowing come la fine del lavoro ma è solamente un modo per avere accesso alle proprie fonti. E’ importante che esista perché i rischi che i whistleblowers affrontano quando decidono di parlare con i giornalisti o con altri organi sono molto elevati: senza guardare ai casi di Manning o di Snowden, un whistleblower può perdere il lavoro, può subire ritorsioni nella vita privata, del mobbing, o peggio ancora. Di conseguenza le piattaforme sono uno strumento in più per tutelare queste persone e tutelare il lavoro dei giornalisti.” 

Il lavoro di redazione è molto importante ma rimane fondamentale la qualità della segnalazione e deve crescere l’importanza del ruolo che può avere nella quotidianità un whistleblower, in particolare nel nostro paese. 

“Se i risultati di quello che viene pubblicato con le piattaforme fosse scadente non si deve alle tecnologie ma alle scelte editoriali: non c’è differenza nell’approcciare una fonte anonima in un modo più classico rispetto all’approccio con una piattaforma come GlobaLeaks: il lavoro giornalistico è sempre lo stesso. Deve sicuramente migliorare l’attitudine nei confronti del giornalismo d’inchiesta e l’attitudine nei confronti del whistleblower: entrambi in Italia non hanno una tradizione così forte, il grosso del giornalismo d’inchiesta in Italia avviene in televisione, il che non è problematico di per sé ma forse manca una tradizione più forte, più lunga e maggiormente visibile con le grandi testate ‘cartacee’.

E ribadisce: “Non che non facciano inchiesta, però rispetto al giornalismo anglosassone di sicuro l’Italia ha una tradizione più televisiva. Bisogna incentivare i grandi nomi del giornalismo italiano nel calarsi in questo mondo e mettersi in parallelo con i grandi nomi del giornalismo internazionale. Sul whistleblower la strada credo sia ancora più lunga: non traduco mai ‘whistleblower’ in italiano perchè non c’è una parola che renda il concetto al meglio e, questo, forse è il primo segnale di una presa meno diretta sul tema rispetto a quella che c’è in altri paesi. Però, allo stesso tempo, noto con piacere che qualcosa sta cambiando e grazie al lavoro sia giornalistico sia di attivismo di varie organizzazioni (compresa la vostra), qualcosa sta cambiando anche se la strada è ancora lunga, ma i segnali sono positivi”.

Di Salvo è autore di diversi libri sul tema del whistleblowing e ha partecipato a diverse inchieste giornalistiche. Abbiamo cercato di capire insieme a lui come e perché il whistleblowing abbia cambiato – magari non il mondo o l’Italia – ma almeno se questa figura può essere d’aiuto nella percepire una maggior legalità.

Non tutti i whistleblowers cambiano il mondo e non tutti i whistleblowers cambiano niente magari, però, in ogni caso il contributo che possono portare può essere decisivo in determinate situazioni. La sensazione che ho io è che spesso il whistleblowing passi per qualcosa che serve solo ad aprire le scatole nere più sigillate o i vasi di Pandora più oscuri. In realtà non è così e non deve essere così: un whistleblower può contribuire anche a portare consapevolezza ed evidenza su storie più piccole o locali. Non serve solo a svelare crimini di guerra o abusi di agenzie di intelligence.

L’avvocato Ernesto Belisario alla ReattiviX School

Anche perché, sottolinea, “il whistleblowing può sollevare piccoli casi di corruzione: ad esempio, ricordo i colleghi di Irpi che riuscirono a pubblicare (in collaborazione con ‘Il Messaggero’) un’inchiesta su un caso di corruzione che vedeva coinvolta l’Anas in una regione italiana. Sicuramente non è una storia che cambierà il mondo, ma può contribuire a risolvere un abuso o a sollevare un caso che altrimenti non avrebbe avuto nessuna visibilità. Quindi credo che bisogna essere molto attenti nel ricordare che chiunque può essere un whistleblower e chiunque può contribuire in qualche modo e, così, la dimensione e la magnitudo delle questioni un giorno potrà cambiare”. 

Lo scopo della ReattiviX School è stato proprio quello di cercare di aumentare la cultura intorno a questa figura, un po’ temuta e a volte denigrata. Diversi relatori ci hanno ricordato l’importanza della cultura della legalità, da insegnare fin dalla piccola età.

“Proprio stamattina mi hanno invitato a fare una lezione alla scuola media di Lugano, è stato abbastanza difficile ma molto divertente e dicevo a questi ragazzi che il whistleblowing può esserci anche dentro ad una scuola: ad esempio, se si scopre che la gestione dei rifiuti vìola una legge o un paletto normativo della scuola, un professore potrebbe rivelare il caso ad un quotidiano locale e provare a risolvere la situazione. Bisogna, quindi, ricordarsi che il whistleblowing può avvenire a livelli molto diversi e non bisogna limitarsi a pensare che serva solo se inchioda il governo alle sue responsabilità“.

Anche perché, ricorda Philip, “ci sono tante piccole storie che fanno capo a comunità di lettori e lettrici più piccole ma che possono avere la loro importanza sia a livello giornalistico che a livello politico o anche solo a livello di vita comunitaria. Si può e si deve incentivare questo strumento, ovviamente bisogna distinguere tra cos’è il whistleblowing e, in caso, cosa la delazione. Sono due cose diverse: la persona che denuncia il vicino di casa perchè ha organizzato una cena in tempo di pandemia non è un whistleblower, è un’altra cosa. Va ricordato che quando si parla di whistleblowing bisogna essere trasparenti e dire che si tratta di un terreno potenzialmente rischioso e controverso. Non va confuso con una cosa da fare tutti i giorni o da fare alla leggera ma non bisogna neanche relegarlo a circostanze straordinarie. Questo è il messaggio che darà il complessivo miglioramento del quadro normativo, delle possibilità che il whistleblowing può lanciare e, più spinta c’è da parte degli organi di stampa, degli organi amministrativi e dell’attivismo, più tutti se ne beneficerà. Le cose – a mio giudizio – sono già cambiate rispetto a qualche anno fa grazie al contributo di quelle, poche, ma molto attente organizzazioni che in Italia si sono approcciate al whistleblowing”

L’intervista a Nicoletta Parisi, docente di Diritto Internazionale e già Consigliere ANAC alla ReattiviX School

Il Whistleblowing può diventare sinonimo di “diritti“?

Whistleblowing può diventare sinonimo di ‘diritti’ e ciò deve comportare la massima tutela, anche quando si parla di diritti digitali. La tecnologia corre veloce e i nostri diritti devono essere comunque tutelati. Di Salvo, è esperto della tematica e afferma che: “la cosa che penso si possa dire per chiudere il discorso è di pensare sempre e comunque ad una prospettiva quanto più locale possibile. Sono settimane in cui si parla tanto della regolamentazione dell’intelligenza artificiale per via della bozza di regolamento che è venuta fuori dagli organi europei, della sorveglianza biometrica e di tutti questi temi che spesso sembrano arrivare da lontano, da una dimensione globale e internazionale, in realtà anche in quel ‘mondo’, anche per quanto riguarda gli abusi della tecnologia di sorveglianza, c’è molto lavoro da fare a livello locale e cittadino e non necessariamente internazionale. L’esempio è quello dell’inchiesta a cui ho collaborato con la collega Laura Carrer e Riccardo Coluccini sull’utilizzo del riconoscimento facciale a Como, la mia città”

Il pubblico di Cittadini Reattivi più attento, sicuramente si ricorderà che era già uscito il tema. In particolare del caso foggiano, città dove la mafia sta prendendo il sopravvento e, dove, il riconoscimento facciale è visto come una delle speranze per contrastare la mafia, un escamotage per riportare la legalità. 

E ricorda: “C’è stata una prima interrogazione parlamentare e ora una proposta di legge di messa al bando – quantomeno momentanea – di questi sistemi e, in qualche modo, nasce sulla scia del dibattito della nostra storia. Una storia che ha avuto anche una piccola rilevanza internazionale in quanto poi è stata scelta da Privacy International come case study di applicazione del face recognition in Europea: questo per dire che guardando in un contesto locale si possono trovare con vari strumenti di indagine, che siano il Foia o il whistleblowing o altro ancora, degli spunti che poi possono avere un impatto molto più grande di quello che si possa pensare in partenza. Mai pensare di essere alla provincia dell’impero, ormai le dinamiche della tecnologia e della diffusione di queste tecnologie molto controverso riguardano qualsiasi territorio. Di conseguenza, l’invito è quello di attivarsi. Sia i giornalisti, sia gli attivisti, ma anche tutte quelle persone che hanno a cuore questi temi anche sul piano locale. E’ così che si accende l’interesse della cittadinanza, andando a toccare questi temi nei contesti più vicini al vissuto di tutti”.

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ReattiviX School è un progetto di Cittadini Reattivi APS realizzato grazie al sostegno del Digital Whistleblowing Fund: se ti sei perso gli incontri precedenti li puoi rivedere sul nostro canale YouTube dove abbiamo creato una play-list con tutte le nostre interviste ai relatori.

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