L’evidenza profondamente inquietante – milioni di morti premature, salute compromessa per miliardi di persone e vite vissute nel purgatorio di “zone sacrificate”– dimostra una sistematica negazione della dignità e dei diritti umani. (…). Gli Stati devono prevenire l’esposizione tossica eliminando l’inquinamento, terminando l’uso o il rilascio di sostanze pericolose e riabilitando le comunità contaminate”.

Questo è solo uno stralcio delle raccomandazioni dell’ultimo rapporto delle Nazioni Unite sul diritto ad un ambiente sano, pulito e sostenibile, a cura del Relatore speciale David Boyd e del Relatore Speciale sulle sostanze tossiche e diritti umani, Marcos Orellana, pubblicato lo scorso 15 febbraio.

Così sappiamo non è stato per Taranto, citata nel rapporto come una delle “zone di sacrificio” del pianeta: “La perdurante esistenza di zone di sacrificio è una macchia sulla coscienza collettiva dell’umanità. Spesso create dalla collusione di Governi e imprese, le zone di sacrificio sono l’opposto diametrale dello sviluppo sostenibile, danneggiando gli interessi delle generazioni presenti e future. Le persone che abitano le zone di sacrificio sono sfruttate, traumatizzate e stigmatizzate. Sono trattate come usa e getta, le loro voci ignorate, la loro presenza esclusa dai processi decisionali e la loro dignità e diritti umani calpestati. Le zone di sacrificio esistono negli Stati ricchi e poveri, nel nord e nel sud, come descritto negli esempi seguenti”. 

E aggiungono: “L’acciaieria Ilva di Taranto, in Italia, da decenni compromette la salute delle persone e viola i diritti umani scaricando enormi volumi di inquinamento atmosferico tossico. I residenti nelle vicinanze soffrono di livelli elevati di malattie respiratorie, malattie cardiache, cancro, disturbi neurologici debilitanti e mortalità prematura. Le attività di pulizia e bonifica che avrebbero dovuto iniziare nel 2012 sono state posticipate al 2023, con l’introduzione da parte del Governo di appositi decreti legislativi che consentono all’impianto di continuare a funzionare. Nel 2019 la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha concluso che l’inquinamento ambientale continuava, mettendo in pericolo la salute dei ricorrenti e, più in generale, quella dell’intera popolazione residente nelle aree a rischio”.

Per il Comitato Cittadino per la Salute e l’Ambiente a Taranto, Massimo Castellana e Alessandro Marescotti denunciano: “L’ONU definisce Taranto “zona di sacrificio” confermando che avevamo ragione. Nella Giornata mondiale contro i tumori infantili, l’Organizzazione delle Nazioni Unite, la più alta istituzione a livello mondiale, rende pubblico un documento che in alcuni punti colpisce per l’inaccettabile comportamento posto in essere dai Governi di alcuni Stati. Non usa mezzi termini, l’ONU, per spiegare quanto in là si siano spinti questi Governi, quanto abbiano anteposto gli interessi economici a scapito della salute e della dignità umana, come si siano prodigati per favorire produzioni inquinanti portatrici di malattie, morte e danni spesso irreversibili all’ambiente“.

Da queste pagine e con i nostri modesti mezzi non abbiamo mai smesso di denunciarlo insieme alla popolazione di Taranto. Certo in questa narrazione “contro vento”, ora arrivano le Nazioni Unite. L’8 ottobre 2021, il Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite ha adottato, infatti, una risoluzione che riconosce come il diritto a un ambiente pulito, sano e sostenibile sia un diritto umano.

Il diritto a un ambiente sano si è sviluppato gradualmente a partire dagli anni ’70, quando è stato menzionato per la prima volta nella Dichiarazione di Stoccolma del 1972. Il suo primo principio afferma che: “L’uomo ha il diritto fondamentale alla libertà, all’uguaglianza e a condizioni di vita adeguate, in un ambiente di qualità che permetta una vita di dignità e di benessere”.

La Dichiarazione di Stoccolma è stata un catalizzatore per il riconoscimento del diritto ad un ambiente sano a livello internazionale e nazionale. Secondo il relatore speciale delle Nazioni Unite David Boyd, il diritto a un ambiente sano “è incluso nei trattati regionali sui diritti umani e nei trattati ambientali che vincolano più di 120 Stati. Gode di protezione costituzionale in più di 100 Stati ed è incorporato nella legislazione ambientale di più di 100 Stati. In totale, 155 Stati hanno già stabilito il riconoscimento giuridico del diritto a un ambiente sano e sostenibile.

L’ultima in ordine di tempo è stata l’Italia, con la modifica all’articolo 9 e 41 della Costituzione lo scorso 8 febbraio. Un grave ritardo se pensiamo che, a livello europeo, il Portogallo è stato il primo paese a sancire questo diritto nella sua costituzione, nel 1976.

Un ritardo che storicamente ha favorito i numerosi disastri ambientali compiuti e in atto nel nostro Paese, come testimonia il degrado dei 60 siti di interesse nazionale e regionale, i luoghi più inquinati d’Italia e del più grave caso di ingiustizia ambientale europeo che si sta perpetrando a Taranto.

Giorgio Assennato, ex direttore di ARPA Puglia ha dichiarato: “ Il rapporto delle Nazioni Unite sottolinea l’inaccettabile ritardo nell’adozione degli interventi di ambientalizzazione e la pesante responsabilità delle autorità statali che, nonostante il ricorso a una legislazione speciale, non sono state in grado nè di mettere in sicurezza il complesso siderurgico nè di predisporre un credibile piano di decarbonizzazione”.

Qui tutti gli articoli e le inchieste di Cittadini Reattivi, Nicola Petrilli e Rosy Battaglia sulle vicende di Taranto.

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