Non sono bastati gli appelli di associazioni in difesa di ambiente e natura, non è bastato il ddl Salvamare lanciato dal Ministro dell’Ambiente Costa nel 2019, e nemmeno le buone azioni di comuni cittadini a far abbassare i livelli di inquinamento dovuto ai rifiuti -plastica in primis- negli oceani e nei mari. Quello dell’inquinamento dei mari è un problema che riguarda tutti quanti, non solo in estate. E ora che, con la pandemia tutt’ora in corso, la produzione di rifiuti -soprattutto sanitari- è aumentata a livello globale, l’attenzione deve essere maggiore.
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Sversamento nel fiume Sarno, fonte: ansa.it -
I nuovi rifiuti del Covid, fonte: fanpage.it -
I nuovi rifiuti del Covid, fonte: peopleforplanet.it -
Una veduta di Venezia dall’alto, durante il lockdown, con l’acqua limpida. Fonte: le scienze.it
I mesi di lockdown sono stati caratterizzati da immagini contrastanti fra di loro: da una parte, con grande piacere, abbiamo assistito al ritorno dei pesci nei canali ripuliti di Venezia o dei delfini che nuotavano nelle vicinanze dei porti, ma, purtroppo, una volta riaperte le attività industriali e ripartite le abitudini personali, le notizie che correvano in rete ci riportavano subito ad una dura realtà: fiumi nuovamente inquinati (vedasi gli sversamenti nel fiume Sarno, come raccontato anche da Vincenzo Senzatela per Cittadini Reattivi) oppure spiagge tappezzate di mascherine e altri rifiuti.
A certificare una situazione resasi a dir poco fragile e critica per i nostri mari e per le nostre coste è anche Legambiente che, grazie all’Osservatorio nazionale Ambiente e Legalità, il 30 giugno 2020 ha divulgato il dossier “Mare Monstrum 2020”: pressione antropica e illegalità sono sempre più un problema per l’ecosistema. Rispetto al 2018, nel 2019 c’è stato un incremento del 15,6% di reati ambientali e ne sono stati contestati ben 23.623, di cui più del 52% in regioni come Puglia, Campania, Sicilia e Calabria e gran parte legati a reati di abusivismo edilizio, cattiva o assente depurazione delle acque e pesca di frodo incontrollata.

Forse anche per questo il WWF, ai primi di luglio, denuncia che per quest’anno l’Europa ha già esaurito l’equivalente della propria produzione annua interna di pesce, molluschi e crostacei. La richiesta dei consumatori è troppo alta: in Europa la media si aggira intorno ai 23 kg, in Italia addirittura a 29. L’Italia, se non importasse pesce dall’estero, già ad aprile avrebbe esaurito l’equivalente della propria produzione annua. Ma la questione non si ferma solo a questo: infatti, sempre il WWF ammonisce che: “in questi ultimi vent’anni il problema globale della sovrapesca è aumentato drammaticamente. In più, la pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata, amplifica ulteriormente la pressione sugli stock ittici. Gli oceani e lo stesso Mediterraneo non sono in grado di sostenere i livelli di questa domanda tanto che il 78% degli stock ittici monitorati nel Mediterraneo risulta sfruttato al di sopra della loro capacità di rigenerarsi, mentre a livello globale sono circa il 33% gli stock ittici monitorati che risultano sovrasfruttati.”
Collegata all’abusivismo edilizio, alle trasformazioni infrastrutturali -sia urbane che portuali- e ai cambiamenti climatici (tra cui l’innalzamento dei livelli del mare) è anche l’erosione delle coste. Legambiente, il 21 luglio, ha presentato uno studio sullo stato dei paesaggi costieri in Italia e, attraverso il portale “Osservatorio Paesaggi Costieri Italiani”, lancia l’ennesimo allarme: da nord a sud, quasi il 50% delle coste sabbiose è in fase di erosione e negli ultimi 50 anni si sono persi più di 40 milioni di metri quadrati di spiagge. Il vicepresidente di Legambiente -Edoardo Zanchini- avverte che:
“è urgente che l’Italia approvi un piano nazionale di adattamento al clima, come hanno già fatto tutti gli altri grandi paesi europei che consideri le coste tra le priorità e che supporti i Comuni nella pianificazione delle soluzioni e negli investimenti, per superare la logica dell’emergenza e degli interventi invasivi, che non fanno che peggiorare le situazioni e scomparire le spiagge”.
Per quanto riguarda il monitoraggio delle coste italiane, è interessante segnalare il progetto del CNR di Pisa in collaborazione con l’Istituto di Scienze Marine (ISMAR) di Lerici e con l’Istituto di Fisiologia Clinica (IFC) che, attraverso l’utilizzo di un drone, verifica la diffusione di rifiuti, di fenomeni come l’erosione o la penetrazione di specie vegetali considerate invasive. Il progetto, innovativo e al momento unico in Italia, nasce nell’aprile 2019 e prevede di sorvolare il litorale di San Rossore -compreso tra le province di Pisa e di Lucca- un’area naturale, protetta e interdetta al turismo. Infatti, come sostiene la ricercatrice Silvia Melino di ISMAR, la zona è stata scelta proprio perché:
“il problema dei rifiuti antropogenici sulla costa riguarda specialmente le aree isolate o protette, in quanto si tratta di zone spesso difficili da raggiungere. Lo studio di queste aree protette si rivela molto importante perché fornisce utili dati sulla distribuzione spaziale e temporale dei rifiuti antropogenici e sulla loro composizione.”
È un progetto importante anche perché riesce a studiare e a stimare il ritmo di accumulo dei rifiuti sulle spiagge, velocità influenzata anche dalla dimensione degli oggetti. Inoltre, tra i primi risultati del progetto, si è notato che nel giro di poche settimane -su una spiaggia liberata dai rifiuti- si ristabilisce un nuovo equilibrio dinamico, la natura riprende i suoi spazi.
Nel frattempo, la collaborazione tra Lifegate, Coop, Unicoop Firenze, Regione Toscana e Società Canottieri Firenze, ha fatto sì che con la campagna “Le nostre acque” sia iniziata la pulizia del fiume Arno. Comincia proprio a Firenze, vicino a Ponte Vecchio, la prima delle 25 sperimentazioni programmate in tutta Italia per l’utilizzo di “Seabin”, un cestino alto meno di due metri e con un diametro di mezzo che, restando sulla superficie dell’acqua, è in grado di pompare circa 25.000 litri d’acqua all’ora, riuscendo così a raccogliere 500 kg di rifiuti plastici all’anno.

La plastica e la microplastica che invadono i nostri mari e gli oceani oltre a devastare la biodiversità marina, diventano un ulteriore problema nel momento in cui entrano nella catena alimentare, e questo sta già succedendo: la microplastica, misurando meno di 5 millimetri, sfugge agli impianti di depurazione e, una volta finita nell’ambiente, diventa impossibile da catturare e rimuovere. Come è concreto il rischio di disastro ambientale nell’Arcipelago Toscano, dove circa 5 anni fa a causa di una tempesta la Motonave Ivy ha perso in mare 63.000 tonnellate di plastica pressata, aggregata e compattata in blocchi, le cosiddette ecoballe. Delle 56 iniziali ecoballe ne sono rimaste sul fondale ancora 40, a rischio sfaldamento e oramai considerate una vera e propria “bomba ecologica”. Finalmente, il 22 luglio, il Consiglio dei Ministri ha dichiarato lo stato di emergenza che durerà sei mesi. Burocraticamente, quindi, la situazione di stallo è stata superata, ora, però, urge rimuovere i rifiuti plastici al più presto, come ammesso dallo stesso Ministro dell’Ambiente Costa, con un post su Facebook.
La ricerca, l’innovazione tecnologica ma anche un turismo e un consumismo che sappiano essere ecosostenibili e consapevoli, il coinvolgimento nel cambiamento di associazioni e di cittadini non sono sufficienti per limitare il problema: serve una forte volontà politica affinché si possa realizzare una vera economia circolare per la plastica. Ridurne il consumo (limitando ad esempio l’usa e getta), scoprire tecniche di riutilizzo, migliorare la gestione dei rifiuti, imparare l’arte del riciclo e impegnarsi nella ricerca di alternative devono diventare le tematiche centrali dell’agenda politica, anche per salvare una risorsa fondamentale come l’acqua e la vita che la popola.
Non a caso, il WWF, rivela dati sconfortanti: “il Mar Mediterraneo è un bacino quasi chiuso dove le correnti fanno tornare sulle coste l’80% dei rifiuti di plastica con il risultato che per ogni chilometro di litorale, se ne accumulano oltre 5 kg al giorno” e, come se non bastasse, ricorda che “il Mar Mediterraneo possiede solo l’1% delle acque mondiali, ma contiene il 7% della microplastica marina”.
Dall’altra parte segnaliamo come, finalmente, nel 2019, grazie alle sollecitazioni dell’ex sottosegretario all’Ambiente Micillo insieme a ISPRA e SNPA è stata lanciata una campagna istituzionale per rendere pubbliche e valorizzare tutte le attività svolte sul mare: #Iosonomare.
La conoscenza dei dati ambientali è fondamentale per governare e controllare il fenomeno dell’inquinamento delle acque da plastiche e microplastiche. Peraltro già prevista dalla direttiva europea Marine Strategy che indica tra i moduli principali, proprio il monitoraggio delle microplastiche. Azione che nel nostro Paese è effettuata dalle Agenzie Regionali per l’Ambiente (Arpa).
Ancora una volta, ricordare le parole di Alexander Langer, questa volta sul valore dei rifiuti, può essere un monito per le nostre coscienze:
“raccogliere ed onorare i rifiuti è una rivoluzione: li trasforma in non-rifiuti, cioè “bene-accetti”, da ciò che non ha valore in qualcosa di prezioso”.

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