Non sono bastati gli appelli di associazioni in difesa di ambiente e natura, non è bastato il ddl Salvamare lanciato dal Ministro dell’Ambiente Costa nel 2019, e nemmeno le buone azioni di comuni cittadini a far abbassare i livelli di inquinamento dovuto ai rifiuti -plastica in primis- negli oceani e nei mari. Quello dell’inquinamento dei mari è un problema che riguarda tutti quanti, non solo in estate. E ora che, con la pandemia tutt’ora in corso, la produzione di rifiuti -soprattutto sanitari- è aumentata a livello globale, l’attenzione deve essere maggiore.

I mesi di lockdown sono stati caratterizzati da immagini contrastanti fra di loro: da una parte, con grande piacere, abbiamo assistito al ritorno dei pesci nei canali ripuliti di Venezia o dei delfini che nuotavano nelle vicinanze dei porti, ma, purtroppo, una volta riaperte le attività industriali e ripartite le abitudini personali, le notizie che correvano in rete ci riportavano subito ad una dura realtà: fiumi nuovamente inquinati (vedasi gli sversamenti nel fiume Sarno, come raccontato anche da Vincenzo Senzatela per Cittadini Reattivi) oppure spiagge tappezzate di mascherine e altri rifiuti. 

http://www.cittadinireattivi.it/2020/05/22/perche-non-dobbiamo-dimenticare-la-cura-dellambiente/

A certificare una situazione resasi a dir poco fragile e critica per i nostri mari e per le nostre coste è anche Legambiente che, grazie all’Osservatorio nazionale Ambiente e Legalità, il 30 giugno 2020 ha divulgato il dossier “Mare Monstrum 2020”: pressione antropica e illegalità sono sempre più un problema per l’ecosistema. Rispetto al 2018, nel 2019 c’è stato un incremento del 15,6% di reati ambientali e ne sono stati contestati ben 23.623, di cui più del 52% in regioni come Puglia, Campania, Sicilia e Calabria e gran parte legati a reati di abusivismo edilizio, cattiva o assente depurazione delle acque e pesca di frodo incontrollata.

Infografica a cura di Legambiente

Forse anche per questo il WWF, ai primi di luglio, denuncia che per quest’anno l’Europa ha già esaurito l’equivalente della propria produzione annua interna di pesce, molluschi e crostacei. La richiesta dei consumatori è troppo alta: in Europa la media si aggira intorno ai 23 kg, in Italia addirittura a 29. L’Italia, se non importasse pesce dall’estero, già ad aprile avrebbe esaurito l’equivalente della propria produzione annua. Ma la questione non si ferma solo a questo: infatti, sempre il WWF ammonisce che: “in questi ultimi vent’anni il problema globale della sovrapesca è aumentato drammaticamente. In più, la pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata, amplifica ulteriormente la pressione sugli stock ittici. Gli oceani e lo stesso Mediterraneo non sono in grado di sostenere i livelli di questa domanda tanto che il 78% degli stock ittici monitorati nel Mediterraneo risulta sfruttato al di sopra della loro capacità di rigenerarsi, mentre a livello globale sono circa il 33% gli stock ittici monitorati che risultano sovrasfruttati.” 

Collegata all’abusivismo edilizio, alle trasformazioni infrastrutturali -sia urbane che portuali- e ai cambiamenti climatici (tra cui l’innalzamento dei livelli del mare) è anche l’erosione delle coste. Legambiente, il 21 luglio, ha presentato uno studio sullo stato dei paesaggi costieri in Italia e, attraverso il portale “Osservatorio Paesaggi Costieri Italiani”, lancia l’ennesimo allarme: da nord a sud, quasi il 50% delle coste sabbiose è in fase di erosione e negli ultimi 50 anni si sono persi più di 40 milioni di metri quadrati di spiagge. Il vicepresidente di Legambiente -Edoardo Zanchini- avverte che:

“è urgente che l’Italia approvi un piano nazionale di adattamento al clima, come hanno già fatto tutti gli altri grandi paesi europei che consideri le coste tra le priorità e che supporti i Comuni nella pianificazione delle soluzioni e negli investimenti, per superare la logica dell’emergenza e degli interventi invasivi, che non fanno che peggiorare le situazioni e scomparire le spiagge”. 

Per quanto riguarda il monitoraggio delle coste italiane, è interessante segnalare il progetto del CNR di Pisa in collaborazione con l’Istituto di Scienze Marine (ISMAR) di Lerici e con l’Istituto di Fisiologia Clinica (IFC) che, attraverso l’utilizzo di un drone, verifica la diffusione di rifiuti, di fenomeni come l’erosione o la penetrazione di specie vegetali considerate invasive. Il progetto, innovativo e al momento unico in Italia, nasce nell’aprile 2019 e prevede di sorvolare il litorale di San Rossore -compreso tra le province di Pisa e di Lucca- un’area naturale, protetta e interdetta al turismo. Infatti, come sostiene la ricercatrice Silvia Melino di ISMAR, la zona è stata scelta proprio perché: 

“il problema dei rifiuti antropogenici sulla costa riguarda specialmente le aree isolate o protette, in quanto si tratta di zone spesso difficili da raggiungere. Lo studio di queste aree protette si rivela molto importante perché fornisce utili dati sulla distribuzione spaziale e temporale dei rifiuti antropogenici e sulla loro composizione.

 

È un progetto importante anche perché riesce a studiare e a stimare il ritmo di accumulo dei rifiuti sulle spiagge, velocità influenzata anche dalla dimensione degli oggetti. Inoltre, tra i primi risultati del progetto, si è notato che nel giro di poche settimane -su una spiaggia liberata dai rifiuti- si ristabilisce un nuovo equilibrio dinamico, la natura riprende i suoi spazi.

Nel frattempo, la collaborazione tra Lifegate, Coop, Unicoop Firenze, Regione Toscana e Società Canottieri Firenze, ha fatto sì che con la campagna “Le nostre acque” sia iniziata la pulizia del fiume Arno. Comincia proprio a Firenze, vicino a Ponte Vecchio, la prima delle 25 sperimentazioni programmate in tutta Italia per l’utilizzo di “Seabin”, un cestino alto meno di due metri e con un diametro di mezzo che, restando sulla superficie dell’acqua, è in grado di pompare circa 25.000 litri d’acqua all’ora, riuscendo così a raccogliere 500 kg di rifiuti plastici all’anno.

Un’immagine del “cestino Seabin”, fonte: corriere.it

La plastica e la microplastica che invadono i nostri mari e gli oceani oltre a devastare la biodiversità marina, diventano un ulteriore problema nel momento in cui entrano nella catena alimentare, e questo sta già succedendo: la microplastica, misurando meno di 5 millimetri, sfugge agli impianti di depurazione e, una volta finita nell’ambiente, diventa impossibile da catturare e rimuovere. Come è concreto il rischio di disastro ambientale nell’Arcipelago Toscano, dove circa 5 anni fa a causa di una tempesta la Motonave Ivy ha perso in mare 63.000 tonnellate di plastica pressata, aggregata e compattata in blocchi, le cosiddette ecoballe. Delle 56 iniziali ecoballe ne sono rimaste sul fondale ancora 40, a rischio sfaldamento e oramai considerate una vera e propria “bomba ecologica”. Finalmente, il 22 luglio, il Consiglio dei Ministri ha dichiarato lo stato di emergenza che durerà sei mesi. Burocraticamente, quindi, la situazione di stallo è stata superata, ora, però, urge rimuovere i rifiuti plastici al più presto, come ammesso dallo stesso Ministro dell’Ambiente Costa, con un post su Facebook.

La ricerca, l’innovazione tecnologica ma anche un turismo e un consumismo che sappiano essere ecosostenibili e consapevoli, il coinvolgimento nel cambiamento di associazioni e di cittadini non sono sufficienti per limitare il problema: serve una forte volontà politica affinché si possa realizzare una vera economia circolare per la plastica. Ridurne il consumo (limitando ad esempio l’usa e getta), scoprire tecniche di riutilizzo, migliorare la gestione dei rifiuti, imparare l’arte del riciclo e impegnarsi nella ricerca di alternative devono diventare le tematiche centrali dell’agenda politica, anche per salvare una risorsa fondamentale come l’acqua e la vita che la popola.
Non a caso, il WWF, rivela dati sconfortanti: “il Mar Mediterraneo è un bacino quasi chiuso dove le correnti fanno tornare sulle coste l’80% dei rifiuti di plastica con il risultato che per ogni chilometro di litorale, se ne accumulano oltre 5 kg al giorno” e, come se non bastasse, ricorda che “il Mar Mediterraneo possiede solo l’1% delle acque mondiali, ma contiene il 7% della microplastica marina”

Dall’altra parte segnaliamo come, finalmente, nel 2019, grazie alle sollecitazioni dell’ex sottosegretario all’Ambiente Micillo insieme a ISPRA e SNPA è stata lanciata una campagna istituzionale per rendere pubbliche e valorizzare tutte le attività svolte sul mare: #Iosonomare.

La conoscenza dei dati ambientali è fondamentale per governare e controllare il fenomeno dell’inquinamento delle acque da plastiche e microplastiche. Peraltro già prevista dalla direttiva europea Marine Strategy che indica tra i moduli principali, proprio il monitoraggio delle microplastiche. Azione che nel nostro Paese è effettuata dalle Agenzie Regionali per l’Ambiente (Arpa).

Ancora una volta, ricordare le parole di Alexander Langer, questa volta sul valore dei rifiuti, può essere un monito per le nostre coscienze: 

“raccogliere ed onorare i rifiuti è una rivoluzione: li trasforma in non-rifiuti, cioè “bene-accetti”, da ciò che non ha valore in qualcosa di prezioso”.

Fonte: Fondazione Alexander Langer Stiftung

 

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