Sappiamo che nel periodo più buio dell’emergenza il sistema sanitario è stato dedicato pressoché esclusivamente alla gestione del Covid-19 o comunque ne è stato sopraffatto.

Purtroppo però tutto il resto non si è fermato: le malattie hanno continuato a colpire, le patologie croniche ad affliggere i pazienti, gli incidenti ad accadere. Ma la risposta del sistema sanitario, così come degli stessi pazienti, non è riuscita a stare al passo.

Ci sono due aspetti principali su cui ci vogliamo fermare a riflettere.

Limitato accesso in pronto soccorso, per paura del contagio o impossibilità

Molti cittadini, spaventati dal rischio del contagio, non si sono presentati in pronto soccorso anche in casi gravi in cui avrebbero dovuto e questo ha causato un peggioramento delle loro condizioni. In molti casi, paura a parte, i pazienti non avevano nemmeno i mezzi per farlo, visto che le ambulanze erano oberate.

Già nel pieno dell’emergenza la Società Italiana Cardiologi ha lanciato l’allarme e il 9 maggio scriveva: “Triplicata la mortalità da infarto, siamo tornati indietro di vent’anni”.

Il presidente Ciro Indolfi ha dichiarato: “L’organizzazione degli Ospedali e del 118 in questa fase è stata dedicata quasi esclusivamente al Covid-19 e molti reparti cardiologici sono stati utilizzati per i malati infettivi. Inoltre, per timore del contagio i pazienti ritardano l’accesso al pronto soccorso e arrivano in ospedale tardi e in condizioni sempre più gravi, spesso con complicazioni”. Tanto che sono stati molti gli appelli ai pazienti di presentarsi senza timori in pronto soccorso se necessario.

Uno studio pubblicato sul New England Journal of Medicine, ha mostrato come in Italia nel 2020 ci sia stato un incremento del 58% di casi di arresto cardiaco avvenuto fuori ospedale rispetto allo stesso periodo del 2019. L’incidenza di arresto cardiaco extra ospedaliero nel 2020 ha avuto percentuali maggiori sia per quanto riguarda arresti per ragioni mediche (6.5%), arresti in casa (7.3%) o senza testimoni (11.3%). Sono anche aumentati i tempi di arrivo del soccorso medico (3 minuti) ed è diminuita la percentuale di persone che ha ricevuto assistenza da un passante (-15.6%). Tra le persone che hanno ricevuto rianimazione cardiopolmonare dal personale sanitario fuori dagli ospedali, le morti sono aumentate del 14.9%.

È evidente che questi numeri sono allarmanti, soprattutto se consideriamo che le patologie cardiache sono tempo-dipendenti e un intervento precoce può salvare la vita o ridurre fortemente le conseguenze negative sul fisico. Non andare in ospedale quindi, non sarebbe la scelta da fare.

Ma questi non sono casi isolati. Come riporta il Sole24Ore, “Uno studio ha rilevato in Italia una riduzione del 50% negli accessi di pazienti colpiti da ictus ischemico ai reparti di terapia intensiva, come la stroke unit”, dovuta al fatto che i reparti di terapia intensiva erano dedicati ai malati di Covid19.

Inoltre, il mancato accesso agli ospedali, accompagnato da una riduzione, se non ad un blocco, delle prestazioni ambulatoriali e in day hospital, ha aggravato il quadro di assistenza, in particolare per i pazienti affetti da malattie neurodegenerative.

Un quadro davvero preoccupante.

Servizi interrotti, prestazioni da recuperare, liste d’attesa lunghissime

Il Servizio Sanitario Nazionale ha interrotto tutte le prestazioni non urgenti e differibili durante l’emergenza per non sovraccaricare le proprie strutture. Da tempo però dovrebbe aver ripreso ma nel frattempo si è accumulata una quantità di esami da svolgere che prima o poi bisogna recuperare. Anche i CUP (centri unici di prenotazione) e i centralini sono sovraccarichi e spesso non riescono a star dietro alla riprogrammazione.

CittadinanzAttiva, l’associazione storica per la tutela dei diritti del cittadino, ha dovuto chiudere i “Tribunali del malato” che da anni ha all’interno degli ospedali e trasferire tutta l’attività online. Ha messo in piedi una sezione Covid-19 sul sito con una guida al Coronavirus, aperto una mail per ricevere le segnalazioni dei cittadini ed è al fianco dei pazienti in tutta Italia per aiutarli a superare situazioni difficili e districarsi tra situazioni burocratiche e organizzative. In tutto questo, cerca di tracciare, regione per regione, come si muovono le AST sulla riapertura.

Ad esempio, spiega Isabella Mori, responsabile nazionale per le politiche della trasparenza e la pubblica amministrazione per l’associazione, in Veneto il paziente cui è stata cancellata una prestazione deve ricominciare tutto da capo: recarsi dal medico di famiglia, farsi fare un’impegnativa e contattare il CUP per prenotare l’appuntamento. In Puglia, cita un caso in cui anche i malati cronici hanno visto interrompere le proprie prestazioni. E ovviamente le loro condizioni sono peggiorate.

L’associazione monitora anche la gestione delle strutture pubbliche e private. In molti casi, suggerisce ancora Mori, gli istituti sanitari privati in convenzione possono erogare le stesse prestazioni di quelli pubblici e quindi permettere al paziente di pagare solo il ticket con liste di attesa più brevi. Laddove i tempi di attesa per il pubblico siano inaffrontabili, il paziente può provare questa soluzione. Che al momento sembra l’unica possibile anche in Lombardia, dove la situazione che la crisi Covid-19 ha fortemente amplificato è estremamente critica. Dove, rispetto alle altre regioni, la sanità pubblica ospedaliera e territoriale indebolita dai tagli sta stentando a ripartire mentre la privata convenzionata è pronta ad accogliere i nuovi pazienti lasciati per mesi in attesa, come ci ha ricordato Vittorio Agnoletto

Cittadinanzattiva siede, invece, al tavolo nazionale del Ministero sulle liste d’attesa. Una delle soluzioni proposte per ridurre le attese è anche quella di allungare le ore di erogazione delle prestazioni nelle strutture sanitarie, ad esempio finire più tardi la sera o lavorare anche durante il weekend. Ovviamente, servono più medici e personale specializzato da assumere.

Vi rimandiamo infine a un bel reportage di Rosanna Magnano su Radio24 che, con diversi protagonisti, approfondisce questi temi, ora più che mai da monitorare.

Il caso più eclatante, e che abbiamo seguito anche noi da vicino, è stato quello della Lombardia. L’abbiamo raccontato grazie alla profonda conoscenza di Vittorio Agnoletto e abbiamo cercato di dare il nostro contributo alla trasparenza, con le nostre lettere al Difensore Civico.

Il servizio sanitario ha molto da recuperare, ma è una corsa difficile. Il diritto alla salute dei cittadini comunque deve essere rispettato.

1 commento

  1. Con questo sistema sanitario le liste di att. non si possono sanare. Lo dice l’esperienza e la storia di quante volte le ASL hanno messo mano per sanare il problema con spreco di risorse senza risolverlo. Si deve cambiare il sistema sanitario che deve essere amm/to dal ministero su tutto il territorio nazionale. Si divide l’Italia in zone in base agli abitanti. In ogni zona ci deve essere l’ospedale di riferimento e organizzare il territorio con gli ambulatori specialistici. Il tutto gestito da un C.d.A che riceverà le somme necessarie direttamente dal ministero. Le regioni possono Intervenire ad ampliare i servizi, con fondi propri. Questo in estrema sintesi. Se si ha il coraggio di fare questo le liste si ridurranno.

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