Taranto, Italia, 2016. Mentre la magistratura lo scorso 29 febbraio ha rinviato a giudizio 47 tra dirigenti e aziende nel processo “Ambiente Svenduto” su ILVA (che nel 2012 aveva già portato la GIP Todisco al fermo giudiziario dell’impianto per presunto disastro ambientale, processo ripartito dal via per vizi procedurali, la cui prima udienza sarà il 27 maggio ndr), vengono al pettine i nodi della gestione commissariale governativa e dei decreti Salva Ilva.
La conferma arriva, purtroppo, dalle stesse relazioni che, secondo le prescrizioni dell’ Autorizzazione Integrata Ambientale, il “controllato” ILVA deve monitorare. Tra queste le emissioni nocive di polveri e diossina.
Già il 27 gennaio 2016 Peacelink aveva chiesto al Ministero dell’Ambiente, ad ARPA e ISPRA in una nota scritta, i risultati di tali indagini che non erano ancora stati resi noti.
Il 27 febbraio Angelo Bonelli, presidente dei Verdi, pubblica i documenti riservati che di fatto confermano i timori delle associazioni e dei cittadini sulle emissioni: la relazione del Politecnico di Torino in cui sono elencati i rilevamenti delle diossine dentro e fuori lo stabilimento, da agosto 2013 a febbraio 2015. A novembre 2014, la centralina del quartiere Tamburi, il più vicino all’impianto siderurgico, ha registrato un valore medio giornaliero di 791 picogrammi al metro quadro rispetto a un ‘valore soglia’ che per le “deposizioni” si attesta tra 15 e 20 picogrammi. Anche il dato di febbraio 2015, 212 picogrammi, è allarmante, mentre il valore medio dei 19 mesi in esame è di 56 picogrammi al metro quadrato.
Tale documentazione è stata fornita ad ARPA il 24 febbraio. Praticamente dopo un anno esatto dal termine dei rilevamenti. Lo stesso direttore di ARPA Puglia, il dott. Assennato in conferenza stampa il 2 marzo 2016, ha denunciato come “la guerra l’abbiamo persa, perché oggettivamente, se non fosse intervenuta la magistratura oggi, sarebbe ancora l’Ilva a fare il bello e il cattivo tempo. Questa è una personale drammatica conclusione”.
ILVA risponde con una nota stampa che “Secondo la perizia realizzata per conto della Società dal Politecnico di Torino, i valori anomali di diossina riscontrati nei deposimetri della centralina del quartiere Tamburi non sono stati determinati dalle attività industriali del Gruppo”. E che i valori sono stati comunicati “nel rispetto dei termini previsti”. Tutto può essere, perchè nell’area industriale c’è anche la Raffineria ENI, un inceneritore a poca distanza, altre aziende e discariche a cielo aperto? A chi spetta accertare ciò?
Se non parlassimo di una delle zone più contaminate d’Italia, se non parlassimo dell’enorme impatto sanitario e ambientale dovuto da ILVA e tutto il comparto industriale a ridosso del centro della città, dei morti, dei malati, dei bambini che continuano a subire passivamente l’inquinamento di contaminanti in grado di devastare apparato endocrino e immunitario, sembrerebbe un film sull’inefficienza dello Stato Italiano e dell’irresponsabilità delle Istituzioni, rispetto alla tutela della salute dei lavoratori e dei cittadini tarantini.
Ma questo impatto, già certificato dai rapporti dell’Istituto Superiore di Sanità, (vedi SENTIERI 2012, lo Studio Epidemiologico Nazionale dei Territori e degli Insediamenti Esposti a Rischio da Inquinamento della contaminazione e SENTIERI 2014), entrato nel ciclo alimentare, come già documentato da quel primo campione di formaggio pecorino alla diossina che Peacelink portò in procura nel 2008, dagli animali abbattuti, dalle cozze sequestrate, sembra non voler significare nulla per le Istituzioni italiane.
Purtroppo non è un film e come dal grido di allarme lanciato dai Genitori Tarantini, i bambini di Taranto vogliono vivere. Così dovrebbe essere in un Paese civile, rispettoso della vita dei suoi cittadini e dei valori della sua Costituzione:
Art. 32
“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo ed interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.”
Art. 41
“L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.”
A questi principi aggiungiamo il mancato rispetto della Convenzione di Ahrus, che con il D.Lgs 195/2005 dovrebbe “garantire il diritto d’accesso all’informazione ambientale detenuta dalle autorità pubbliche e stabilire i termini, le condizioni fondamentali e le modalità per il suo esercizio; garantire, ai fini della più ampia trasparenza, che l’informazione ambientale sia sistematicamente e progressivamente messa a disposizione del pubblico e diffusa, anche attraverso i mezzi di telecomunicazione e gli strumenti informatici, in forme o formati facilmente consultabili, promuovendo a tale fine, in particolare, l’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione”. Legge ribadita dal decreto Trasparenza 33/2013 quello sul diritto di accesso civico alle informazioni della Pubblica Amministrazione. Intanto le mamme di Taranto non sanno ancora quanta diossina c’è nel loro latte, perchè non sono ancora arrivati i risultati della prescrizione AIA che chiedeva tale monitoraggio.
Come scrivono i responsabili dell’associazione Peacelink alla Commissione Europea, non è un genocidio silenzioso? Intanto non smettiamo di parlarne e non facciamo calare il silenzio. Sì, il problema della diossina a Taranto ci riguarda tutti.
Qui il podcast della trasmissione del 7 marzo 2016 su RadioLatteMiele dedicata ai cittadini reattivi di Taranto.
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