E’ questa la domanda che chiunque in Italia, cittadino, politico, esperto deve porsi.

Il nostro Paese è uno dei più vulnerabili d’Europa, è una penisola al centro del Mar Mediterraneo, per di più ad alto rischio di dissesto idrogeologico, come i rapporti ISPRA hanno documentato in tutti questi anni: quasi il 94% dei comuni italiani è a rischio frane, alluvioni ed erosione costiera.

Quanto accaduto in Emilia Romagna è drammatico e straordinario, come documenta l’articolo di Nimbus, rivista scientifica diffusa dallo scienziato e climatologo Luca Mercalli, ma destinato a ripetersi. Dopo la siccità di oltre un anno e mezzo, maggio 2023 è stato il mese più piovoso degli ultimi settant’anni. Solo ieri in Lombardia, in provincia di Brescia, l’eccesso di pioggia caduta in pochissime ora ha causato gravi danni.

Come ben sintetizza l’ingegnere idraulico Andrea Nardini nell’articolo che Luca Mercalli ci invita a leggere a pag. 28 del Giornale dell’Ingegnere n. 2/23, “Il cambiamento climatico induce una certa schizofrenia: ci fa saltare continuamente tra siccità e inondazioni (un vero clima “bang-bang”) con l’effetto di dimenticare alternativamente un problema per saltare sull’altro, senza mai affrontarli fino in fondo. Ma loro restano e prendono sempre più corpo”.

Quello che i movimenti ambientalisti e i giornalisti scientifici hanno denunciato in questi anni, è che pochissimo è stato fatto per prevenire, mitigare quelli che sono ormai i danni eloquenti causati dal cambiamento climiatico. Servono politiche strategiche ed immediate, contro il consumo di suolo, una messa in sicurezza del territorio che non sia ulteriore cementificazione, (come la costruzione di enormi bacini e vasche di laminazione di cui tanto si discute), ma al contrario una rinaturalizzazione degli alvei, a partire dal corso dei fiumi e dei torrenti.

L’Europa e le Nazioni Unite ci richiamano alla tutela del suolo, del patrimonio ambientale, del paesaggio, al riconoscimento del valore del capitale naturale e ci chiedono di azzerare il consumo di suolo netto entro il 2050, di allinearlo alla crescita demografica e di non aumentare il degrado del territorio entro il 2030.

Esattamente come ci ripete il geologo e divulgatore scientifico Mario Tozzi: “Più natura significa più sicurezza. Ecco perché non è questione solo di opere, ma di cultura dell’ambiente e del territorio. Barattare natura in cambio di denaro non ci farà vivere in un mondo più sicuro, ma solo più artificiale. Rinaturalizzare dovunque si possa è la risposta.”

COSA POSSIAMO FARE ORA? SOSTENERE LE POPOLAZIONI E LE ZONE COLPITE,NON ABBANDONANDOLI

Ne riparlemo, mentre ci arrivano immagini e foto drammatiche, dai cittadini reattivi emiliani e romagnoli e dalla generazione Fridays for Future, come ci testimonia Giacomo Zattini, con le mani nel fango, nella zona di Forlì, ancora sott’acqua, che incontreremo sabato al Festival della Comunicazione Non Ostile, a Trieste, sabato 27 maggio.

Un piccolo contributo che abbiamo deciso di dare con il gruppo di attivisti e hacker civici che già diedero vita al progetto di pubblica utilità “Terremoto Centro Italia“, è quello di aver creato un nuovo gruppo Facebook e account twitter collegato Alluvione Centro Italia, dove poter raccogliere informazioni verificate su raccolte fondi, beni, soccorsi e volontari. Altro modo è anche quello di non disdire vacanze, alloggi negli alberghi e nei ristoranti: fortunatamente la costiera romagnola è rimasta praticamente indenne dai danni dell’alluvione.

Infine, le ragazze e i ragazzi di Fridays For Future hanno ben chiaro cosa bisogni fare, oltre che localmente, globalmente. Ascoltiamoli, invece di varare nuove opere “fossili”, dal rigassificatore di Ravenna al gasdotto della Linea Adriatica tra Sulmona e Minerbio, come ci ricorda Augusto De Santis del COORDINAMENTO NO HUB DEL GAS.

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