Lo scorso sabato 14 maggio 2022 siamo stati ad Anagni dove oltre che ad incontrare la comunità abbiamo partecipato all’evento “Il coraggio di informare: due inchieste al femminile” in cui verranno presentati due docu-film: Io non faccio finta di niente (il documentario-inchiesta di Rosy Battaglia) e “Gli anni verdi” (il docufilm di Chiara Bellini ambientato nella Valle del Sacco), evento promosso da Legambiente Anagni, da sempre in prima linea a tutela di questo territorio.

Situata nel cuore del Lazio Meridionale, dal 2016 in questo lembo d’Italia è stato istituito il SIN Bacino del Fiume Sacco. Un destino non molto diverso dagli altri 42 SIN ufficialmente istituiti in altre zone d’Italia e che comprende 19 comuni tra le Province di Roma e Frosinone, tra cui Anagni.

Ma cosa successe 61 anni fa e perché circa 7.200 ettari di questo territorio rappresentano ancora oggi un reale pericolo per la salute dei suoi abitanti? Per raccontare questa gravissima storia diventata, poi, tragedia sanitaria e sociale utilizziamo le parole di quei cittadini, radunati in comitati e associazioni, che da anni lottano per ottenere giustizia, bonifiche ambientali e riconversione degli impianti industriali. Stabili sul territorio, “queste reti di cittadini si impegnano a difendere la popolazione residente contro un’imprenditoria che specula, devasta, dismette e fugge. Affrontano e reggono di fronte alle difficoltà nell’impari lotta nei tribunali grazie al sostegno economico della popolazione. Sono a difesa del territorio e degli interessi fondamentali dei cittadini contro tutte le minacce per l’ambiente, la salute e le opportunità di sviluppo economico”.
Ringraziamo, quindi, Legambiente Anagni, il comitato Residenti Colleferro, l’Associazione Diritto alla Salute di Anagni e l’Associazione Retuvasa (rete per la tutela della Valle del Sacco), per il resoconto di questa gravissima vicenda che ha cambiato quello che da sempre è stato il bellissimo volto storico, paesaggistico e culturale di questo territorio.

La guerra alla Valle – Una storia che inizia più di mezzo secolo fa …

“…Quando si avviò un’industrializzazione promossa da una politica governativa che si proponeva lo sviluppo industriale del centro e del mezzogiorno dell’Italia. Gran parte di terre agricole di pregio, come quelle della Valle del Sacco vennero depredate a favore di industrie create per riscuotere incentivi sugli investimenti e beneficiare di costo del lavoro agevolato. Le attività produttive si estesero su un’area molto vasta del territorio con l’apporto di manodopera locale e con la realizzazione di profitti destinati molto spesso e in grande misura allo sviluppo dell’economia nel nord Italia, o anche, ad investimenti all’estero. Sin dall’ inizio questo processo di industrializzazione non dimostrò alcuna sensibilità né attenzione per i danni all’ambiente e alle possibili conseguenze per la salute delle popolazioni residenti.


A distanza di oltre mezzo secolo nella Valle è rimasta un’eredità di stabilimenti in disarmo e un inquinamento sempre più grave causato da responsabili non più reperibili e perseguibili e nella sostanziale indifferenza delle istituzioni pubbliche, spesso impreparate sui problemi dei danni arrecati all’ambiente e, in conseguenza, la scarsità di controlli tempestivi ed efficaci e delle relative sanzioni. Un’economia e una visione strategica del territorio certamente compromessa. Infatti, la compromissione delle risorse aria, acqua, terra, verificata e documentata nelle ricerche condotte da Università e Istituti scientifici, ne attestava l’evidenza.


Già nel 2001 il Rapporto Merli, risultante dalle ricerche condotte dall’Università La Sapienza e l’Università de L’Aquila prefigurava un crescente peggioramento della situazione se non si fosse intervenuti in tempo ad impedire nuovi danni e a rimediare a quelli già fatti con le tecnologie adeguate .
Le prospettive di lavoro, di anno in anno, si rivelarono sempre più deboli. I motivi? Mancanza di pianificazione economica, rincorsa politica del consenso a breve termine e promesse impossibili da mantenere. Si evidenziò, con frequenza, un mancato rispetto della legalità e mancati o insufficienti controlli. La scelta prevalente fu quella del “saccheggio“ delle cospicue risorse del territorio principalmente agricole, artigianali commerciali e la grave noncuranza delle risorse rappresentate dal patrimonio storico, artistico e culturale con effetti negativi sullo sviluppo di un turismo intelligente, selezionato e costante, economicamente redditizio e privo di ricadute dannose per l’ambiente.


Ma tale politica miope e pericolosa ha continuato nella non curanza: la Valle fu compromessa dal beta-esaclorocicloesano a seguito dell’interramento dei fusti contenenti sostanze ad alto grado di tossicità nell’area di Colleferro a partire dagli anni sessanta/settanta. Sversamenti di varia natura che continuano ancora oggi nel fiume senza individuazione dei responsabili. Pericolosissimi veleni, quale il cianuro, che ammazzarono il bestiame, devastarono il territorio e compromisero la salute della popolazione con il risultato di una situazione epidemiologica molto grave. L’inserimento della Valle del Sacco tra i 42 Siti più Inquinati Nazionali (SIN) ha sancito amaramente la preoccupante situazione. Intanto chiudono piccoli e grandi stabilimenti non bonificati.
Nonostante la gravità, poi, sul territorio si sono affacciati dei nuovi attori. Negli ultimi anni si elabora una proposta crescente di reindustrializzazione che non prevede innovazioni, nuove tecnologie e nuovi prodotti, ma solo la raccolta crescente di rifiuti pericolosi e la dislocazione sul territorio di discariche e impianti di smaltimento: dagli inceneritori ai
bio-digestori in numero eccedente in rapporto al territorio e alla sua produzione di rifiuti e alle modalità di smaltimento, nel rispetto della normativa vigente”.

Un tempo che sembra essersi fermato

I due documentari raccontano rispettivamente ciò che è accaduto nella Valle del Sacco e nel bresciano. Guardarli oggi fa lo stesso effetto di quando le battaglie civili di queste due comunità iniziarono e, infatti, nonostante il tempo sia trascorso sembra di essersi fermati al punto di partenza. Basti pensare alla dichiarazione del Presidente del Lazio Nicola Zingaretti dello scorso 28 aprile comunicata all’Assemblea Generale di Unindustria: “Occorrono segnali chiari che segnino una nuova fase. Per questo la scorsa settimana abbiamo avviato un’iniziativa direttamente col presidente del Consiglio Draghi, il ministro Cingolani e tutto il governo: la Regione Lazio ha chiesto la sospensione, eccetto le aree ripariali, del decreto di perimetrazione del SIN del Bacino Valle del Sacco. Un decreto figlio di errori e illusioni che hanno finito nel tempo per bloccare tutto. Una sospensiva non per perdere tempo ma per definire in pochi mesi col territorio un perimetro che garantisca tutela, bonifica e rilancio produttivo. Un equilibrio tra sostenibilità e crescita, come ci chiede l’Europa“. (Mtr/ Dire)

La risposta ferma delle associazioni del territorio non si è fatta attendere e, presente al Convitto Principe di Piemonte di Anagni, incalzato da Rita Ambrosino, presidente di Legambiente Anagni, l’Assessore all’Ambiente di Colleferro Giulio Calamita ha spiegato cosa comporterebbe deperimetrare il SIN: “Non si può tornare indietro su determinate posizioni perché al netto delle problematiche occorre guardare al mondo non solo come interesse locale ma collettivo. Il SIN è una tutela sia per i cittadini che per gli imprenditori. Comprare un terreno da bonificare non comporterebbe loro nessun profitto. Eppure delle soluzioni ci sono. Basti guardare quello che già è accaduto a Trieste. Perché non scrivere una normativa che stabilisca degli sgravi a quegli imprenditori che comprano, ripuliscono e investono in questi territori?”


Contributo a cura di Elisa Rossi per Cittadini Reattivi

Laureata in Media, comunicazione digitale e giornalismo e in Comunicazione pubblica e d’impresa presso l’Università La Sapienza di Roma, Elisa Rossi, da diversi anni esercita attività giornalistica freelance, occupandosi di cultura, tematiche ambientali e sostenibilità. Svolge, poi, attività di monitoraggio per la ricerca sociale.


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