Note da un convergno illuminante a proposito di cittadinanza attiva e sostenibilità ambientale, in vista del PNRR
“Le periferie urbane. Dagli interventi straordinari alle politiche ordinarie”. Lo scorso 26 aprile, presso il Teatro de’ Servi di Roma si è tenuto il convegno organizzato dal Forum disuguaglianze e diversità, Forum Terzo Settore e Legambiente che, in virtù delle nuove opportunità di intervento promosse dal PNRR, ha messo al centro la copiosa questione di rigenerazione urbana delle periferie, quella della sostenibilità ambientale e l’importanza della cittadinanza attiva.
Partiamo dalla definizione di periferia. Alla luce degli evidenti disagi sociali e ambientali, in che luogo può essere ricondotta? Una cosa è certa: il concetto di periferia non può essere più associato soltanto alle aree circostanti del centro cittadino. Ad oggi, infatti, come spiega Carmen Giannino (Segreteria Tecnica Gruppo di monitoraggio e verifica dell’esecuzione del Programma straordinario per la riqualificazione urbana) la periferia è plurale e differenziata poiché sono molte le aree urbane contraddistinte da marginalità economica, sociale e ambientale.
Di fatto, come prosegue Carlo Cellammare (docente di Urbanistica presso la Sapienza di Roma) le periferie sono la parte vitale delle nostre città. È qui che nascono la maggior parte delle iniziative sociali, culturali e dove si scoprono delle capacità di fronteggiare situazioni critiche a cui normalmente il pubblico non provvede. Parliamo di: capacità di organizzazione, gestione degli spazi abbandonati e del recupero delle aree verdi. I centri storici, dunque, sono il luogo del consumo culturale la cui produzione prolifera nelle periferie. Parlare di periferie, poi, secondo Paolo Pezzana (Università Cattolica di Milano – Formazione Quadri Terzo Settore) significa evidenziare una soglia, una dimensione separata. Nelle periferie queste soglie sono costantemente a rischio di trasformarsi in faglie che rischiano di essere tagliate completamente fuori.
Non si può pensare di mettere in pratica un’effettiva transizione ecologica senza partire dalle periferie.
Nelle periferie, per Francesco Erbani (giornalista e scrittore) l’intreccio tra giustizia sociale e ambientale è un tema molto ampio. Non si tratta del solo diritto all’abitare, ma anche della sua qualità: da qui parte la convergenza degli obiettivi della decarbonizzazione. Bisogna porre l’attenzione, poi, sul fatto che molte periferie sono state concepite con una dotazione di spazi pubblici che però sono rimasti vuoti e degradati, favorendo il radicamento della criminalità. L’esempio lampante è Corviale a Roma. In luoghi come questi la criminalità è l’unica alternativa alla povertà. Tornando alle parole di Carlo Cellammare, oggi abbiamo a che fare con tante periferie diverse tra loro e che sono la parte predominante delle nostre città. Se si pensa a Roma, su 3 mln di abitanti, 100.000 vivono in periferia e un 1/3 del tessuto residenziale urbano è di origina abusiva. È così che nascono le disuguaglianze. Ma allora cosa bisognerebbe fare? Sicuramente ragionare sull’idea dei poli civici, dei veri e propri centri polifunzionali di servizi ai territori e hub di attivazione di percorsi di economie locali che partano da una mappa delle competenze ed esigenze di ogni singolo territorio.
Il problema dell’edilizia residenziale pubblica rimane comunque un tema di primo piano nelle periferie. Diego Carrara (Direttore Generale ACER di Ferrara) ne spiega il motivo. La carenza di edilizia pubblica nel nostro Paese, infatti, fa pagare in termini sociali le comunità. Per fare un esempio, dal un’indagine della Regione Emilia Romagna si è evidenziato come circa 45.000 persone necessitano di alloggi di edilizia pubblica residenziale, ovvero, il doppio di quella di cui già si dispone.
Torniamo, quindi, al tema del diritto all’abitare e alla qualità dell’abitare
Nel Pnrr non se ne parla, ma c’è anche un’altra importante povertà da contrastare e che rientra nell’ambito del connubio tra giustizia sociale e ambientale nelle periferie: la povertà energetica. Su questa tematica, le considerazioni di Giovanni Carrosio (Docente di sociologia dell’ambiente e del territorio di Trieste) sono un importante spunto di riflessione. Secondo Carrosio, infatti, la questione della povertà energetica è entrata solo da qualche mese nel dibattito pubblico, conseguentemente all’aumento dei prezzi dell’energia. Ma in realtà, già prima della pandemia la Banca d’Italia dichiarò che in Italia, circa il 10% delle famiglie si trovano in condizioni di povertà energetica. Anche se questo è l’ultimo dato ufficiale disponibile, ciò che ad oggi si sa grazie alle testimonianze del Terzo Settore è che questa condizione è più rilevante rispetto al periodo pre-pandemia.
Per illustrare l’intreccio tra periferie, cambiamento climatico e accesso all’energia, Cerrosio esemplifica con un illuminante studio sociologico effettuato nella città di Chicago in merito al grave episodio del 12 luglio 1995, quando la temperatura percepita in città ha raggiunto i 52 gradi. In quella giornata Chicago ha battuto ogni record per il consumo di energia al punto che la domanda ha sovraccaricato la rete elettrica, causando continui black out. Ma il vero alto prezzo fu il numero delle vittime: 800 furono le persone che persero la vita a causa di quell’ondata di calore. L’indagine sociologica messa in atto cercò di capire quali fossero i motivi per i quali in alcuni quartieri si fossero registrate più vittime rispetto ad altri ma inizialmente non ha mostrato dei dati sorprendenti: l’incrocio tra povertà e condizione razziale. Un condizionatore funzionante, quindi, ridusse sensibilmente il rischio di morte e 8 aree su 10 con il tasso di mortalità più alto erano afroamericane ed avevano forti concentrazioni di povertà.
Ulteriori evidenze, poi, hanno fatto notare come 3 dei 10 quartieri con i tassi più bassi di mortalità fossero anch’essi molto poveri e prevalentemente afroamericani. In questi quartieri a fare la differenza fu quella che nello studio venne definita infrastrutturazione sociale o ricchezza comune: avere degli spazi comuni animati (giardini pubblici, biblioteche, ecc.) ha comportato una riduzione del rischio tale a quella di possedere un condizionatore. Ciò significa che avere una rete di sostegno e un capitale relazionale ha comportato, a differenza di quanto accaduto nei quartieri con un alto tasso di mortalità, un più alto tasso di soccorsi medici arrivati per tempo. Poter fruire, quindi, di spazi pubblici e dei loro panieri di energia favorisce sia un risparmio energetico ma anche un assistenzialismo per coloro che non ne dispongono.
La mobilità sostenibile
Cos’altro si può fare per vincere la sfida climatica e ambientale, mirando sulla rigenerazione urbana è, poi, il tema della mobilità sostenibile. A spiegarlo in maniera chiara è Federico Spadini (Campaigner trasporti di Greenpeace Italia). Stando ai dati il 70% delle emissioni globali di gas serra vengono prodotti dai centri urbani e il settore dei trasporti determina in Europa 1/4 di emissioni di gas serra. Alla luce degli effetti che lo smog ha sulla salute delle persone oltre che su quella del Pianeta, come aiutare la decarbonizzzione? A Roma, ad esempio, lo studio chiamato “L’insostenibile mobilità di Roma” condotto da Greenpeace ha evidenziato come nella città non ci siano le condizioni per poter scegliere di muoversi in maniera sostenibile. 2 mln di persone (2/3) non beneficiano di nessun servizio di mobilità condivisa oppure ne dispongono in maniera scarna. Inoltre, 1,7 mln di abitanti vive con trasporti pubblici locali insufficienti e 500.000 persone vivono in luoghi dove non è presente neppure 1 metro di pista ciclabile. A quale obiettivo arrivare, quindi? Secondo Spadini alle cosiddette “Città dei 15 minuti”, ovvero quelle città in cui le persone abbiano le condizioni necessarie per poter raggiungere i servizi in una distanza percorribile di 15 minuti a piedi o in bici. Si tratta di un modello di città decentralizzata secondo il quale, però, le città italiane sono più indietro rispetto a quelle europee.
Pnrr, associazionismo e cittadinanza attiva
Di fatto, i processi ecologici avvengono attraverso una retroazione positiva o negativa, selezionando dei percorsi votati alla sconfitta per convertirli in processi positivi. Ma, nonostante l’entusiasmo del Ministro delle Infrastrutture e mobilità sostenibili Enrico Giovanardi presente al convegno circa l’opportunità del Pnrr, sono ancora molti gli scogli da superare. Infatti, si, è vero che i sindaci di oggi hanno degli strumenti in più rispetto ai sindaci del passato ma è anche vero che sono molte le Amministrazioni locali a non aver il giusto supporto affinché i progetti di rigenerazione urbana vengano presentati nei tempi stretti richiesti dal Pnrr. E, si, nonostante questi strumenti siano a tutti gli effetti un’ammissione di colpa del fallimento dell’industrializzazione selvaggia del passato, non si può esimere dall’investire anche in ricerca accademica e formazione all’interno del mondo dell’associazionismo.
E a proposito di associazionismo ben chiara è stata la “denuncia” di Giuseppe De Marzo (coordinatore nazionale Rete dei Numeri Pari). Dal punto di vista della sua associazione è importantissimo mappare le esperienze di giustizia ambientale oltre che sociale. Questo perché, l’aumento delle disuguaglianze nel nostro Paese si intreccia necessariamente con le mafie. Quindi, sia a Roma che a Marsala, il ramo povero delle comunità o intercetta le associazioni o la mafia.
Per tutti questi motivi è opportuno che realtà associative No Profit siano parte integrante dei progetti finanziati dal Pnrr, dal Pinqua, dalle Borse Energia, dal Superbonus e dagli altri fondi pubblici e che vengano, quindi, sostenute verso obiettivi che includano giustizia sociale e ambientale. Non per ultimo, poi, è il ruolo di primo piano che deve avere la cittadinanza. Esistono già molte realtà vincenti che possono essere prese come faro guida. Basti pensare alle Comunità Educanti, alla fondazione Charlemagne, a Legambiente, alla Rete dei Numeri Pari o ancora al Consorzio Jobel e alla Piazza dei Mestieri. Ma che ruolo deve avere la cittadinanza? Come è possibile coinvolgerla affinché ci sia effettivamente un’importante partecipazione? Secondo Michele D’Alena (Coordinatore dell’Ufficio Immaginazione Civica della Fondazione Innovazione Urbana di Bologna) va combattuto il verticismo delle amministrazioni pubbliche mettendo al centro 4 parole chiave: spazio, tempo, potere ed empatia. Spazio perché ogni quartiere ed ogni territorio ha la propria personalissima anima. Tempo perché dopo 20 anni di politiche pubbliche fallimentari la cittadinanza non ha più fiducia nelle istituzioni. Potere perché la comunità va coinvolta al pari di urbanisti, architetti, sociologi ecc. Empatia perché per cambiare modello organizzativo occorre avere tempo per l’ascolto, per la cura e per accettare che ci sia effettivamente un conflitto e un disagio da curare.
Contributo a cura di Elisa Rossi per Cittadini Reattivi
Laureata in Media, comunicazione digitale e giornalismo e in Comunicazione pubblica e d’impresa presso l’Università La Sapienza di Roma, Elisa Rossi, da diversi anni esercita attività giornalistica freelance, occupandosi di cultura, tematiche ambientali e sostenibilità. Svolge, poi,
attività di monitoraggio per la ricerca sociale.
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