Prosegue l’inchiesta in due puntate sulle informazioni ambientali messe (o non messe) a disposizione dall’ARPAB. Per la prima parte vi rimandiamo a questo link

Nella prima parte eravamo giunti alla sezione “suolo e rifiuti”. Proprio qui in una recente visita al sito è emersa la presenza di alcune pagine non particolarmente visibili che fin’ora in pochi o nessuno avevano notato. Sono pagine che riguardano il monitoraggio di alcuni degli impianti Eni in Val d’Agri. Lo avevamo anticipato in un articolo un mese fa fa ed è stato riportato anche da Santoriello nel blog dell’associazione COVA Contro, i dati sono preoccupanti. Uno dei piezometri nelle vicinanze del pozzo di reiniezione Costa Molina 2, dove viene reimmessa nel sottosuolo l’acqua di strato separata dal petrolio, mostra un ripetuto sforamento dei limiti di legge di oltre 200 volte per il dicloroetilene , mentre in altri piezometri si registrano anche saltuari sforamenti per il manganese e questo per il solo 2019. In anni precedenti gli sforamenti hanno riguardato anche altre sostanze. Va detto che vi sarebbero molte più sostanze da monitorare che non vengono cercate e che le analisi non sono mai firmate.

http://analizebasilicata.altervista.org/blog/a-costa-molina-ancora-dicloroetilene-a-febbraio-era-224-volte-la-soglia-di-legge/?doing_wp_cron=1593692367.4238209724426269531250

Le multe ad ARPAB per non aver divulgato i dati

L’impianto di reiniezione era stato sequestrato a seguito dell’inchiesta petrolgate con l’accusa di essere utilizzato per uno smaltimento illecito di rifiuti assieme all’acqua di strato. E già dal 2011 erano emersi dubbi sulla sua sicurezza al seguito della comparsa poco più a valle di alcune sorgenti salate (proprio come l’acqua di strato) e maleodoranti. Ancora una volta le indagini della Colella avevano mostrato un grave inquinamento da metalli pesanti e altre sostanze, mentre ARPAB, Regione ed Eni avevano negato la presenza di alcun problema. ARPAB in seguito ricevette una doppia multa per la cifra complessiva 802.000 euro per non aver divulgato per 2 anni i dati in possesso che mostravano un grave inquinamento delle sorgenti.

Destano poi perplessità i dati delle analisi del settembre 2017. In quel mese le attività di reiniezione erano state sospese perché ARPAB aveva rilevato la presenza di ammine filmanti, un rifiuto speciale che è proibito reiniettare. Tuttavia nelle analisi rinvenibili sul sito non v’è traccia di di ciò. Si dovrebbe trattare di analisi differenti fatti direttamente sugli impianti dell’ENI e non nei terreni, ma in tal caso ARPAB è tenuta a pubblicare tutti i dati in suo possesso. In ogni caso i dati sugli sforamenti indicano che c’è qualcosa che non funziona a dovere e richiederebbero ulteriori indagini e dei provvedimenti volti a risolvere la situazione. Invece su una montagna a 1000 metri d’altezza nel bel mezzo del Parco Nazionale dell’Appennino Lucano sostanze chimiche tossiche si diffondono in quantità nei terreni senza che questo desti alcuna reazione.

Lo stato delle acque di falda sotto il Centro Oli di Viggiano

Con le analisi dell’acqua di falda sotto il Centro Oli di Viggiano le cose non vanno meglio. Questa è l’area che nel 2017 era stata interessata dallo sversamento di 400 tonnellate di idrocarburi e che per molti mesi ha visto idrovore all’opera nel tentativo di estrarre l’acqua inquinata. Qui emergono degli sforamenti ripetuti per i solfati ma si nota anche che a partire da dicembre 2019 le concentrazioni di manganese, ferro, bromodiclorometano e il tricloroetano registrate da due dei quattro piezometri presenti hanno cominciato ad aumentare da valori nella norma fino a superare di diverse volte il limite di legge, arrivando nel caso del manganese a un valore 38 volte maggiore del consentito nel mese di febbraio.

Elaborazione Cittadini Reattivi su dati ARPAB

A causa probabilmente della pandemia la serie dei dati si interrompe a febbraio e non si sa cosa sia successo in seguito inoltre uno dei piezometri risulta mal posizionato e non registra dati. In ogni caso si tratta ancora una volta di analisi non firmate che indicano una nuova contaminazione della falda al di sotto dell’impianto e che richiederebbero indagini più approfondite per capirne l’origine e la natura. Ma anche in questo caso ARPAB misura circa 60 sostanze sulle oltre 100 sottoposte a norma. Al momento non siamo in grado di capire se e quali tipi di provvedimenti siano stati adottati visto che non ne abbiamo rintracciato alcuna comunicazione. Cercheremo di capirlo attraverso domande mirate alle istituzioni competenti.

Quanto all’altro impianto di desolforazione analogo al COVA recentemente entrato in funzione in un vicino giacimento, quello di Tempa Rossa gestito dalla Total, nel sito dell’ARPAB non si trova alcuna traccia di monitoraggio se non quello dell’aria. Per trovarlo come per altri impianti inquinanti bisogna andare direttamente nella sezione delle centraline. Per il resto c’è una totale mancanza di dati. E’ di un paio di settimane fa il comunicato con cui dieci sindaci della zona – tranne quello di Corleto Perticara, dove è ubicato l’impianto – si lamentano della mancanza di dati ambientali chiedendoli però alla Total invece che all’ARPAB.

I rifiuti radiottivi al centro di ricerca ITREC

Quanto al centro di ricerca nucleare ITREC dove di recente è stata ultimata la rivoluzionaria e delicata estrazione del monolite nucleare dalla “fossa irreversibile”, sono presenti tutti i dati sulla radioattività, anche se non forniti in maniera molto leggibile, ma non sono reperibili dati sulle acque e sul suolo. Ma la radioattività non è l’unico pericolo dell’impianto. Il trattamento delle scorie nucleari, come quello fatto per 20 delle 84 barre uranio-torio richiede l’utilizzo di particolari solventi chimici molto corrosivi che rimangono radioattivi e risultano pericolosi da stoccare. La zona negli anni scorsi è stata riconosciuta oggetto di una grave contaminazione da sostanze di questo tipo e la caratterizzazione del sito svolta da ARPAB nel 2017 indica la presenza nella falda di diverse sostanze alcune delle quali molto tossiche e cancerogene come il cromo esavalente e la trielina (fino a 500 volte oltre il limite), mentre in superficie risultano presenti anche se in genere con valori poco oltre il limite diversi metalli pesanti.

La relazione dell’ARPAB si conclude con l’indicazione della necessità di una più estesa rete di monitoraggio e della bonifica del sito. La rete è stata ampliata, ma a seguito della caratterizzazione ancora una volta le ultime analisi rinvenibili risalgono al settembre 2018 confermando il perdurare della contaminazione. Proprio nel 2018 è partita un’inchiesta e parte dell’impianto è stato sequestrato per impedire lo scarico a mare di acqua inquinata. Cosa sia successo in seguito sul piano ambientale non è dato sapere.

Acque di falda a Melfi: valori fuori norma

Superamenti ripetuti del limite di legge per diverse sostanze risultano anche nelle acque di falda presso il termovalorizzatore Rendina Ambiente (ex Fenice) di Melfi gestito dalla multinazionale EDF. L’impianto è stato all’origine del primo scandalo che ha coinvolto l’ARPAB nel 2011. Il suo direttore Vincenzo Sigillito era stato accusato per vari reati tra cui quello di disastro ambientale per non aver divulgato i dati sull’inquinamento. Per quest’ultimo reato è stato assolto in primo grado dato che non è stata riconosciuta la presenza di un disastro ambientale, altri reati connessi sono finiti in prescrizione, mentre è stato condannato a 3 anni per la gestione dell’ente.

A seguito dell’emersione di un forte inquinamento, il sito era stato caratterizzato e ne era stata prevista la bonifica. In attesa della bonifica le prescrizioni dell’AIA del 2014 prevedevano comunque che l’attività potesse riprendere in presenza di un capillare programma di monitoraggio ambientale a patto che non ci fossero sforamenti per nuove sostanze rispetto a quelle già rinvenute. Malgrado ciò nel 2018 parte dell’impianto era stato sequestrato e il suo amministratore indagato per la mancata bonifica e un aggravamento dell’inquinamento.

Ad oggi la bonifica non c’è ancora stata e le analisi rispetto quanto riportato nella caratterizzazione mostrano il rientro nella norma di alcune sostanze, ma l’ulteriore sforamento del ferro in violazione delle prescrizioni AIA. Inoltre i risultati dei programmi di monitoraggio di aria, matrici organiche, suolo e rumore previsti dall’AIA sono fermi almeno al 2015. Il 20 giugno di quest’anno il sindaco di Melfi ha chiesto nuovamente conto della bonifica e invocando la chiusura dell’impianto. Nel frattempo però i cittadini non sono in grado di sapere lo stato dell’ambiente in cui vivono. Come Cittadini Reattivi faremo richiesta affinché tutti i dati mancanti vengano finalmente pubblicati.

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