Il 14 ottobre è stata la Giornata mondiale contro l’incenerimento dei rifiuti promossa da Gaia, Global Alliance fon Incinerator Alternatives. che comprende oltre 650 membri provenienti da 92 paesi del mondo, netwwork di ONG che hanno sollecitato i governi di tutto il mondo ad impegnarsi formalmente ad adottare la strategia Rifiuti Zero.
Con l’occasione ripubblichiamo (grazie a Wired Italia e alla licenza Creative Commons per la riproduzione) l’inchiesta pubblicata lo scorso 9 settembre alla vigilia della Conferenza Stato Regioni sullo schema di decreto per nuovi impianti di incenerimento rifiuti che prevedeva nella bozza iniziale la costruzione di 12 nuovi inceneritori e il proseguimento dell’attività dei 42 già esistenti.
Ad oggi continua il confronto tra Stato-Regioni, che anche nella giornata del 24 settembre non ha portato ad alcuna definitiva approvazione.
Il governo spinge queste tecnologie come misure di green economy, dimenticandosi che bruciare rifiuti dovrebbe essere solo l’estrema ratio
In principio furono “Misure urgenti per la realizzazione su scala nazionale di un sistema adeguato e integrato di gestione dei rifiuti urbani e per conseguire gli obiettivi di raccolta differenziata e di riciclaggio-(…) per la gestione e per la tracciabilità dei rifiuti nonché per il recupero dei beni in polietilene”. Sono le norme contenute nell’articolo 35 del famigerato decreto Sblocca Italia D.L. 133/2014, approvato dal governo Renzi il 12 settembre 2014, convertito in legge l’11 novembre scorso e riprese nel decreto attuativo del 29 luglio 2015.
In pratica, nel documento che il Ministro dell’Ambiente Galletti sottoporrà alla Conferenza Stato-Regioni, rinviata al 24 settembre prossimo (e forse anche più in là ndr) c’è il piano di costruzione di 12 nuovi inceneritori, oltre i 42 già esistenti funzionanti e i sei autorizzati ma non esercizio, che bruciano quasi sette milioni di tonnellate di rifiuti urbani e speciali ogni anno. I nuovi impianti dovrebbero andare a bruciare circa due milioni e mezzo di RSU eccedenti, per arrivare alla copertura di un fabbisogno teorico annuale di oltre nove milioni di tonnellate.
Eppure, come ricordano ai presidenti delle Regioni, i Comuni Virtuosi “La Direttiva CE 98/2008 stabilisce una precisa gerarchia nella gestione dei rifiuti, che vede solo al penultimo posto e come estrema ratio la possibilità del recupero energetico derivante dalla combustione dei materiali post consumo”. Mentre nel nostro Paese, ribadisce Bengasi Battisti, presidente dell’associazione “non si capisce il perché, si fa esattamente il contrario, stravolgendo l’ordine delle cose e mettendo in fondo agli obiettivi da conseguire la prevenzione, la riduzione e la differenziazione dei rifiuti”.
L’Italia dei Comuni, ignorata dalla politica fossile, infatti, è da tempo avviata verso la politica del riciclaggio, del riuso e del recupero dei rifiuti. Con punte che vanno dal 65% fino all’85% del Consorzio Contarina di Treviso, come ricorda l’esperto Enzo Favoino su Quale Energia: “Il Consorzio Contarina gestisce i rifiuti di 50 Comuni della provincia, compreso il capoluogo, coinvolgendo oltre 550.000 abitanti. La differenziata si attesta sull’85% e la media di rifiuto secco residuo per abitante/anno è pari a soli 50 kg. L’obiettivo è scendere ad appena dieci kg nel 2023″.
Proprio Favoino entra nel merito anche attraverso le “Note critiche su schema di decreto applicativo art. 35 dello “Sblocca-Italia”, un documento redatto da un pool di esperti sul tema rifiuti: “Lo Schema di Decreto presuppone di volere rispondere alle criticità presenti sul territorio nazionale, onde evitare procedure di infrazione per mancato rispetto delle Direttive“- si legge, e fin qui tutto bene se si tratta di evitare le ennesime multe UE ma, sottolineano gli esperti – “Il problema è che lo Schema di Decreto assume che tale obbligo vada rispettato mediante sistemi di trattamento termico, e che il rifiuto urbano residuo (RUR) debba dunque passare attraverso sistemi di incenerimento (o co-incenerimento): questo non è condivisibile, né corretto, in quanto non c’è nulla che attesti un tale obbligo nelle Direttive UE, ed esistono invece altri sistemi di pretrattamento”.
“Incenerire e trivellare è la “green economy del governo Renzi” ricorda Stefano Ciafani, il vice presidente di Legambiente, mentre sono oltre 1500 i comuni ricloni che hanno adottato il Manifesto per l’Italia Rifiuti Free. Certo è che il decreto, dimentica particolari importanti, come ribadisce Ciafani: “I quantitativi da bruciare in nuovi impianti sono sovrastimati perché sono calcolati su un obiettivo del 65% di raccolta differenziata già ampiamente superato in diverse regioni, partire da Veneto, da Friuli Venezia Giulia, Marche”.
Sul piatto del decreto attuativo ci sono quindi, sottolinea il vicepresidente di Legambiente, altri interessi guidati dalla “lobby concorrente, quella del cemento, che sta cercando di bruciare nuovi quantitativi di combustibili da rifiuti (Css) nei loro impianti”. L’affondo della più importante associazione ambientalista italiana è pressante: “Si tratta infatti di una bozza di decreto che è a nostro avviso il frutto della sommatoria delle richieste singole delle aziende di gestione dei rifiuti, soprattutto delle multiutilities del nord, che ancora non hanno capito che in questo paese il vento è cambiato e che non c’è più spazio per nuovi inceneritori“.
Che il vento sia cambiato lo ricordano le migliaia di comitati, associazioni, enti e comuni che aderiscono alla mobilitazione nazionale contro gli inceneritori e a favore di chiare politiche di riciclo, riuso e recupero. Se la campagna per la Legge “Rifiuti Zero” ha raccolto ad oggi oltre 80 mila firme, si susseguono le iniziative per sensibilizzare alla riduzione di produzione di rifiuti e contro gli inceneritori proprio là, dove il dente duole. Da Torino a Firenze (dove è in atto uno scontro acceso tra il sindaco Nardella e i comitati sempre più agguerriti e documentati come le Mamme No Inceneritore), dalla Valle del Mela in Sicilia a Napoli, da Brescia alla Valle del Sacco, a Milano dove un ampio coordinamento ha consegnato all’Assessore all’Ambiente Terzi, un appello per chiedere l’abrogazione dell’art. 35 dello Sblocca Italia. Alla Terra dei Fuochi che vede il territorio degradato da incendi dolosi, ecoballe che giacciono abbandonate e proprio per la mancanza di trasparenza e capacità di gestione del ciclo dei rifiuti degli enti preposti, una fortissima opposizione all’inceneritore di Giugliano.
Siamo di fronte a milioni di cittadini affetti da inguaribile sindrome Nimby? Più semplicemente le installazioni dei 12 nuovi inceneritori arrivano sui territori pieni di discariche e siti contaminati come la classica goccia che fa traboccare il vaso. L’ostacolo delle popolazioni ai nuovi impianti perdurerà finchè continuerà l’attività di molti impianti obsoleti ed inquinanti che dovrebbero essere dismessi. Finché non ci saranno processi realmente aperti e condivisi tra istituzioni locali, regionali e statali e cittadini, in grado di far dimenticare la mancanza di trasparenza delle istituzioni nelle Valutazioni di Impatto Ambientale, gli innumerevoli sequestri della magistratura di moltissimi impianti da nord a sud, la mancanza di studi epidemiologici intorno agli insediamenti.
Lo scarso controllo della filiera dei rifiuti (vedi il dramma SISTRI) e tutti gli abusi sono stati ampiamente dettagliati già nel precedente Rapporto della Commissione d’Inchiesta Parlamentare sul Traffico di Rifiuti Illeciti della XVI legislatura , sono oggetto, non a caso, della nuova Commissione di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati, istituita a gennaio 2015, guidata dall’Onorevole Bratti.
Un esempio? In Lombardia, la regione d’Italia con il maggior numero di inceneritori (tredici) ha sede l’impianto più moderno d’Italia, tra i più grandi d’Europa con una portata di 800 mila tonnellate, a lungo decantato come quello dalla migliore tecnologia possibile. Eppure l’inceneritore (o termovalorizzatore) di Brescia di proprietà A2A, la multiutility del Comune di Brescia e del Comune di Milano, ha avviato la terza linea di incenerimento, nonostante la Corte di Giustizia europea, il 5 luglio 2007 l’abbia bocciata per mancanza di Valutazione di Impatto Ambientale e di adeguata pubblicizzazione ai cittadini, come ricorda lo storico dell’ambiente Marino Ruzzenenti. Mancato rispetto delle norme UE a cui si sono poi aggiunti gli incidenti del 2012 e del 2014 e indagini della magistratura , ventisei anomalie negli ultimi due anni, con tre superi per il monossido di carbonio documentati nella relazione di ARPA Lombardia.
Intanto, solo con una richiesta di accesso agli atti del Coordinamento Comitati Ambientalisti Lombardia del 20 marzo 2014 alla Provincia di Brescia, i cittadini bresciani hanno potuto conoscere le tipologie dei rifiuti bruciati nell’inceneritore A2A nel 2013. Dalla richiesta, solo parzialmente soddisfatta è emersa l’importazione di rifiuti speciali, CDR pari a 188.830 tonnellate e pulper di cartiera per 71.660 tonnellate. Mancanza di trasparenza che aveva già portato lo stesso Coordinamento ad inviare diffida all’Asl per il mancato svolgimento di indagini, chieste dalla Regione, sulle diossine nei prodotti orticoli attorno all’inceneritore A2A.
Ecco, una vicenda come quella bresciana aiuta a comprendere l’origine della scarsa fiducia dei cittadini, ben consapevoli che tutela della salute e dell’ambiente nel nostro Paese sottostanno ad altre logiche. “L’era del DAD (decide, announce, defend) è finita. Nella vicina Francia l’atteggiamento pubblico è completamente cambiato, mentre in Italia siamo ancora agli inizi, anche per questo la fiducia dei cittadini è difficile da recuperare” ha dichiarato il professor Annibale Biggeri, epidemiologo, docente di statistica medica al’Università di Firenze chiamato come esperto nell’incontro delle Mamme No Inceritore con il sindaco fiorentino Nardella, lo scorso 24 luglio, in vista della costruzione del nuovo inceneritore di Firenze.
Costruire processi partecipativi, evitare confronti ingannevoli e prendere atto che, ad esempio, la Valutazione di Impatto Sanitario va sempre realizzata o rifatta, come nel caso di Firenze, dove la prima era stata realizzata dall’Agenzia regionale Sanità della Toscana e dal CNR di Pisa. “Firenze ha esperienza di nuove iniziative partecipative. Non conflittuali, valutate con interesse ad esempio da Arpa Toscana, ma anche in fecondo scambio con le istituzioni dell’Unione Europea per la protezione del cittadino” conclude Biggeri.
Sull’impatto sanitario, lo Studio Epidemiologico di ARPA Piemonte sull’inceneritore di Vercelli, appena pubblicato, sgombra il campo da molti dubbi, documentando, purtroppo, i danni sulle popolazioni residenti che dagli anni ’70 al 2014 hanno subito le emissioni dell’impianto che trattava termicamente RSU e RSO (Rifiuti Speciali Ospedalieri). Gli incrementi di rischio per la mortalità totale, escluse le cause accidentali, nella popolazione esposta sono aumentati del 20%. Anche per tutti i tumori maligni si evidenziano rischi più alti tra gli esposti rispetto ai non esposti (+60%), in particolare per il tumore del colon-retto (+400%) e del polmone (+180%).
Anche per questo, tutti gli interventi umani che mettono in discussione salute e ambiente, come gli inceneritori, dovrebbero sottostare alla procedura di VIS (Valutazioni di Impatto Sanitario). Lo sottolinea il Position Paper di ISDE – Medici per l’Ambiente e l’ebook pubblicato da ARPA Emilia Romagna “La VIS in Italia. Valutazione e partecipazione nelle decisioni su ambiente e salute”, a cura di Liliana Cori, Adele Ballarini, Nunzia Linzalone, Marinella Natali e Fabrizio Bianchi. Un progetto che nasce dal Centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ccm) del ministero della Salute e coordinato dalla Regione Emilia-Romagna, che sta lavorando per far crescere le competenza delle amministrazioni pubbliche in materia di VIS. Un approccio preventivo che stima i futuri impatti di una politica, un piano o un progetto (come appunto l’installazione di un inceneritore), con l’elaborazione di diversi scenari di sviluppo e il coinvolgimento delle comunità locali e dei portatori di interesse durante tutto il percorso.
Un processo partecipato irreversibile, dentro e fuori le istituzioni, visto il sempre più accentuato protagonismo dei cittadini alle decisioni su ambiente e salute. Che il decreto attuativo dell’art. 35 del decreto Sblocca Italia 133/2014 sembra completamente ignorare.
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