Il suo scheletro giace ancora lì, in piena area urbana, a 900 metri circa dal centro storico di Brescia, su un’area di oltre 110 mila metri quadrati, mai bonificati e ormai quasi del tutto abbandonati. La Caffaro, storica fabbrica che ha prodotto PoliCloroBifenili (PCB) e diossine, li ha diffusi attraverso l’immissione nei canali irrigui, contaminando i terreni di due interi quartieri di Brescia, Chiesa Nuova e BuonGiovanni. Le conseguenze per la salute pubblica si leggono anche tra le pagine del rapporto redatto dal ministero della Salute presentato a settembre 2012, dove sono stati esaminati gli alti tassi di mortalità dovuti all’inquinamento ambientale in Italia, per il periodo 1995-2002 nei cosidetti Siti di Interesse Nazionale. E dove si conferma per il sito Caffaro-Brescia, un «eccesso di mortalità negli uomini per il linfoma non-Hodgkin», ma anche di decessi «per tumore superiori all’atteso, ma le cui stime sono imprecise». Quadro ancora più allarmante per la salute della popolazione bresciana, come emerso dall’aggiornamento del rapporto Sentieri (vedi link all’indagine  epidemiologica). Nessun cittadino è stato rifondato di alcun danno se non per l’abbattimento degli animali di allevamento. Inoltre non è ancora in corso nessuna campagna di sorveglianza sanitaria e biomonitoraggio, sebbene a luglio 2013 l’ASL di Brescia abbia avviato “4 nuove indagini”.

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