Se ne parla poco e male, si nasconde il problema e si rischia di rimanere ciechi di fronte all’evidenza dei miglioramenti che potrebbe portare all’economia, alla salute e all’occupazione giovanile nel nostro Paese con il rischio concreto di lasciare un mercato florido in mano alle sole organizzazioni criminali. 

Eppure sia la legalizzazione della “cannabis indica” , sia il sostegno alla filiera agroalimentare e industriale della canapa light (cannabis sativa) rimangono tabù nell’opinione pubblica. Anzi, le campagne proibizioniste sulla prima hanno fortemente penalizzato anche il mercato in crescita della seconda che ha valore di THC al di sotto dello 0,5%, la cosidetta “canapa industriale”.

Bisogna sapere infatti che la canapa, pianta industriale, prodotto agricolo, non è una sostanza stupefacente, già con le attuali, confuse norme. Per sua natura è a basso contenuto di THC sotto lo 0,6% e non c’entra nulla con la cannabis indica.

E’ quest’ultima oggetto dello scontro pro e contro legalizzazione. Negli ultimi anni c’è stato -grazie a movimenti antiproibizionisti e ad alcuni partiti politici- il timido tentativo di fare una legge a favore della depenalizzazione o di un’eventuale legalizzazione della cannabis anche a uso ricreativo, senza dimenticare l’importanza dell’uso medico. 


Con la sentenza del 19 dicembre 2019 anche le Sezioni Unite della Corte di Cassazione si sono espresse in difesa dell’autoproduzione, affermando che: “non costituiscono reato le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica. Attività di coltivazione che per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante ed il modesto quantitativo di prodotto ricavabile appaiono destinate in via esclusivo all’uso personale del coltivatore”. Senza una legge però anche questa sentenza rischia di portare solo ulteriore confusione. 


Già nel 2016 e nel 2017 la Direzione Nazionale Antimafia a guida di Franco Roberti nella Relazione Annuale aveva sottolineato come la legalizzazione sarebbe decisiva nel contrasto alle organizzazioni mafiose e importante per reprimere più efficacemente altri traffici e ulteriori reati.

Fonte: Direzione Nazionale Antimafia via Dolcevita.com

Perché, quindi, non sostenere la regolarizzazione del mercato della cannabis? Secondo lo studio scientifico del prof. Marco Rossi dell’Università La Sapienza di Roma dal titolo “Una valutazione economica: legalizzare conviene (con qualche accorgimento)”, gli effetti della legalizzazione porterebbero all’occupazione di più di 300.000 persone. Tema sollevato già dal 2019 da studiosi ed economisti su “Lavoce.info, sia da un dossier dedicato su Valori.it.

Analisi che hanno portato alla luce i benefici economici ed ambientali connessi all’uso della canapa industriale. Dalle nuove possibilità lavorative e alla possibilità del suo utilizzo nel campo della medicina. La canapa può essere utilizzata anche nell’edilizia, nella produzione di carta, di bio-plastica, di indumenti, di bio-combustibili e può essere utilizzata anche nell’alimentazione e nella medicina, anche in quella veterinaria. 

Eppure, anche la filiera della canapa light (ricordiamo che è una sostanza con un valore di THC al di sotto dello 0,5% per legge e quindi assolutamente innocua) ha trovato sempre grosse difficoltà nel sistema legislativo italiano, benché nel solo 2018 abbia creato circa 10mila posti di lavoro, più di 2300 nuove aziende con un fatturato di circa 150 milioni di euro.

Come Cittadini Reattivi avevamo anche studiato la possibilità dell’utilizzo della canapa nella lotta all’inquinamento, grazie anche alle sue proprietà di fitodepurazione, riportando il caso dell’Ilva di Taranto e della masseria Fornaro.


In questo periodo di lock-down causato dal Coronavirus, per di più, diversi dati hanno messo in luce che il consumo di canapa light è aumentato a dismisura. Ma non solo, alcune aziende –tra cui la Maeko, specializzata in filati e tessuti naturali– hanno cominciato a produrre mascherine in canapa, riutilizzabili e lavabili quindi non inquinanti come quelle usa e getta che se non smaltite correttamente rischiano di diventare un ulteriore peso per l’ambiente. La Maeko ne ha inviate in dono un certo quantitativo anche al Policlinico di Cagliari.


Interessante anche l’iniziativa dell’associazione Campanapa che con l’insorgere dell’emergenza Covid-19 ha iniziato la produzione di mascherine in canapa con il contributo della NCIS onlus, una cooperativa di detenuti ed ex detenuti nata per favorire l’integrazione sociale di soggetti svantaggiati. La lotta al Coronavirus non si fa solo con le mascherine: ad esempio Israele è capofila degli studi per lo sviluppo di terapie a base di cannabinoidi non psicoattivi (CBD) e delle proprietà antinfiammatorie della cannabis per la cura del Covid. Anche in Canada sono partite alcune sperimentazioni a riguardo. 


In Italia, invece, si studia l’argomento focalizzando l’attenzione su quanto il CBD e la cannabis ricca di questa molecola, possano essere d’aiuto sul disturbo da stress post traumatico dovuto alla pandemia e al lockdown.

L’esperienza che stiamo vivendo con il COVID-19 ci ricorda quanto le nostre vite siano perennemente in bilico, sia da un punto di vista sanitario che economico.

Un’immagine scattata ad Amsterdam prima del lockdown, quando si temeva che anche i coffe-shop venissero chiusi. Il governo olandese ha poi optato per il take-away.

Eppure, secondo uno studio del 2017 effettuato dal prof. Pietro David e dal prof. Ferdinando Ofria dell’Università degli studi di Messina intitolato: “Perché legalizzare la cannabis: un’analisi di costi e benefici”, la legalizzazione porterebbe un gettito fiscale alle casse dello Stato che varia tra i 6 e gli 8,7 miliardi di euro. 
Senza dimenticare che, legalizzando, si potrebbero ridurre le spese statali per la repressione diminuendo i costi per le forze dell’ordine, per la magistratura e per il sistema carcerario: un risparmio per il sistema giudiziario di circa 600 milioni.

Tabella riassuntiva dello studio effettuato all’Università di Messina

I benefici riguarderebbero inoltre: 
-una migliore qualità del prodotto riducendo i rischi per il consumatore: ad esempio, l’Università di Berna nel 2016 ha analizzato circa 191 campioni di cannabis riscontrando nel 91% dei casi che il prodotto era contaminato da ammoniaca, lacca, piombo, ferro, cromo, cobalto e altri metalli pesanti altamente nocivi, con il solo scopo di far aumentare il peso dell’erba;
-la segmentazione dei mercati: infatti, si limiterebbe il passaggio dalle droghe leggere a quelle pesanti perché i contatti con gli spacciatori (pronti a offrire anche droghe che creano dipendenza) sarebbero meno frequenti; 
-infine, un ulteriore beneficio riguarda il contrasto alle mafie: oltre ad una riduzione della liquidità e ad una maggiore forza repressiva dello Stato nel contrasto allo spaccio di droghe pesanti, si riuscirebbe a dare un duro colpo al consenso sociale che le organizzazioni criminali -grazie anche allo spaccio- sono riuscite fino ad oggi ad ottenere.

Colpire il consenso sociale che negli anni le mafie abilmente sono riuscite a conquistare sarebbe, in questo periodo di crisi economica e di vari tentativi di infiltrazione nell’economia legale, fondamentale.

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