RIngraziamo il prof. Marino Ruzzenenti, una delle figure centrali del documentario-inchiesta di Cittadini Reattivi “Io non faccio finta di niente”, dedicato alle lotte civiche per le bonifiche ambientali a Brescia, per il suo commento alla sentenza della Corte Europea di Giustizia del 29 luglio 2024. Pubblicata solo recentemente, la sentenza conferma la validità della sentenza del Tribunale Civile di Milano riguardo il risarcimento dei siti Caffaro. Brescia – ricordiamo – è uno dei siti più contaminati d’Italia e forse al mondo.
Marino Ruzzenenti, storico dell’ambiente, nel 2001 contribuì, con i medici del lavoro Celestino Panizza e Paolo Ricci, a far emergere il grave inquinamento da PCB e diossine nella zona adiacente l’industria chimica Caffaro a Brescia, promuovendo la costituzione del Comitato popolare contro l’inquinamento zona Caffaro. Autore di moltissime pubblicazioni a carattere storico ed ambientale, nel 2021 ha pubblicato “Veleni negati, Il caso Caffaro, Edizioni Jaca Book e nel 2020 con Pier Paolo Poggio il saggio “Primavera ecologica, mon amour”, sempre Edizioni Jaca Book. Ha scritto tra gli altri “Un secolo di cloro e… PCB. Storia delle industrie Caffaro di Brescia”, Jaca Book, Milano 2001 e sempre con Pierpaolo Poggio “Il caso italiano: industria, chimica e ambiente”, 2012.
Il disastroso inquinamento da diossine, PCB e altre sostanze tossiche di una parte della città di Brescia da parte dell’industria chimica Caffaro si “scopre” il 14 agosto del 2001. Dopo oltre vent’anni, un’importante Sentenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea del 29 luglio 2024 dovrebbe porre fine alla furbata, tipicamente italiana, messa in atto da chi ai tempi controllava la SNIA-Caffaro per sottrarsi agli oneri della bonifica. La Corte Ue, infatti, conferma la validità della innovativa e coraggiosa sentenza d’appello del Tribunale civile di Milano, perfezionata dalla successiva dello stesso Tribunale del 28 ottobre 2021, che condannava la società LivaNova PLC a versare al Ministero dell’Ambiente euro 453.587.327,48 per le bonifiche dei 3 SIN Caffaro, di cui 249.985.948,46 per il SIN di Brescia.
Ma che cosa ha a che fare la multinazionale londinese di apparati biomedicali LivaNova PLC con la vecchia SNIA-Caffaro chimica da 15 anni fallita?
Come in un giallo che si rispetti, partendo dall’evento conclusivo, di solito un misterioso assassinio (in questo caso un evento a due facce, felice per il popolo inquinato italiano e assai sgradevole per il Chair of the Board di LivaNova PLC che sta a Londra), si deve ripercorrere all’indietro la vicenda per districare il classico bandolo della matassa, una sorta di pièce drammatica, anche grottesca, con lieto fine a sorpresa.
La Caffaro, da tempo assorbita nella SNIA, nel 2001 era controllata dalla finanziaria HOPA, costituita da esponenti della nuova finanza emergente passati alla storia per essersi definiti, appunto, “i furbetti der quartierino”.
HOPA, scoperta la falla imprevista del gravissimo inquinamento prodotto da Caffaro, dopo aver tentato di venderla, con ovvio reiterato insuccesso, architettava un’operazione societaria che porterà a conclusione tra il 2003 e il 2004: SNIA venne scissa in due società distinte, SNIA-Caffaro, comparto chimico con i conti in rosso, da una parte, e SORIN, comparto biomedicale con circa 500 milioni di euro di attivo, dall’altra, ricollocate quindi separatamente in Borsa come nuove società il 2 gennaio 2004.
In questa operazione, cruciale per il tema di “chi inquina paga”, era facile prevedere un abbandono di SNIA-Caffaro, oberata da deficit strutturale e dallo stato di grave inquinamento, su di un binario morto, binario che effettivamente la porterà alla liquidazione nel 2009, rendendola, quindi, insolvibile ed incapace a far fronte al danno ambientale a suo tempo provocato. Mentre, invece, SORIN, di successo in successo, nel 2015, si fonderà con Cyberonics per formare la multinazionale LivaNova con sede a Londra.
Non c’è qui spazio per raccontare l’inettitudine, se non peggio, delle Autorità competenti (dal Ministero dell’ambiente al Comune di Brescia) nella doverosa azione che dovevano intraprendere contro le diverse controparti private, in vario modo responsabili degli oneri della bonifica.
Sta di fatto che la furbata escogitata dai “furbetti” va a sbattere contro il famoso “giudice a Berlino” di Bertolt Brecht. In sede civile, la Corte d’Appello di Milano, I sezione, il 5 marzo 2019, ha riaperto clamorosamente la partita ed è riuscita a sbrogliare l’intricata matassa che aveva impedito fino a quel momento di chiedere conto, in termini di oneri per la bonifica, a coloro che dovevano farsi carico del disastro ambientale perpetuato nei tre siti Caffaro. La sentenza, di 47 pagine, qualora venisse confermata in Cassazione come sembra scontato dopo la Corte Ue, potrebbe segnare un
importante e innovativo successo nell’attuazione del principio “Chi inquina paga” e merita, dunque, di essere richiamata in alcuni punti fondamentali. Per i giudici Domenico Bonaretti, Maria Iole Fontanella e Angela Scalise non si può parlare di mancata responsabilità nell’inquinamento dell’ultima compagine societaria, SORIN e quindi LivaNova, essendo SNIA «sempre stata consapevole delle proprie responsabilità ambientali» ed inoltre l’inquinamento della falda, a causa dei tanti veleni dispersi, è proseguito in modo «permanente» e addirittura sarebbe ancora in atto, per cui non può scattare nessuna prescrizione trattandosi di reati di disastro ambientale.
Infine, a proposito dei passaggi societari da SNIA, alla scissa SORIN e quindi all’attuale LivaNova, i giudici citano la Cassazione: «Per un danno ambientale può essere chiamato a rispondere anche un soggetto che non l’ha prodotto: nel caso in cui il proprietario dello stabilimento inquinante ceda l’azienda ad un terzo, quest’ultimo subentrerà in tutti i rapporti attivi e passivi». Quindi, poiché «SNIA e SORIN devono ritenersi corresponsabili dei danni arrecati ai tre siti», LivaNova viene chiamata ad assumersi gli oneri delle bonifiche fino ad un massimo di 500 milioni, pari all’attivo, all’epoca, di SORIN. Di nuovo, il 28 ottobre 2021, la stessa Corte d’Appello di Milano, recepisce la perizia del CTU e quantifica gli oneri posti a carico di SORIN, nelle dimensioni che abbiamo sopra anticipato.
A questo punto rimane da superare lo scoglio della Cassazione, cui ricorre LivaNova accampando il fatto che nel 2003-2004, all’atto della scissione di Sorin, non erano stati definiti quantitativamente gli oneri delle bonifiche che quindi non potevano essere retroattivamente ad essa addebitati. Nel dubbio, di fronte ad una sentenza così innovativa, la Cassazione chiede il conforto della Corte di Giustizia Ue, che ribadisce: “La regola della responsabilità solidale delle società beneficiarie … si applica non soltanto agli elementi di natura determinata del patrimonio passivo non attribuiti in un progetto di scissione, ma anche a quelli di natura indeterminata, come i costi di bonifica e per danni ambientali che siano stati constatati, valutati o definiti dopo la scissione di cui trattasi, purché essi derivino da comportamenti della società scissa antecedenti all’operazione di scissione. […]” Dunque LivaNova deve pagare, come stabilito dalla Corte d’Appello di Milano.
Un risultato straordinario e insperato, che può essere importante per gli altri siti “orfani” dove gli inquinatori se la son data a gambe.
Per Brescia, ovviamente, le nuove risorse devono servire, finalmente, anche alle bonifiche e ai ristori dei danni patiti dal popolo inquinato, ovvero ai cittadini vittime del disastro Caffaro, finora abbandonati senza alcuna cura da parte dell’Autorità competente.
Brescia, 1 novembre 2024
Marino Ruzzenenti
—————————————–