Lo scorso 16 novembre a Roma migliaia di persone di tutta Italia hanno partecipato al “Climate Pride“, una street parade organizzata da più di 70 associazioni per unirsi alla mobilitazione globale volta a esercitare pressione sulla COP29 in corso a Baku, in Azerbaigian.
Come spiegano gli organizzatori: “La giustizia climatica non può che essere accompagnata dalla garanzia di una giustizia sociale: contro chi vorrebbe aumentare il divario tra i paesi e mantenere in piedi il ricatto tra lavoro e transizione ecologica è necessario incrociare le nostre istanze, cercare alleanze e convergenze tra i movimenti. È ormai indispensabile capovolgere il sistema, interrompere l’azione antropica forsennata che devasta l’ambiente così come le nostre vite. Chiamiamo a raccolta alleate per costruire nuove connessioni verso un mondo che sia realmente sostenibile per tutte le specie, in un’ottica transfemminista e anticoloniale, contro ogni guerra. Ci mobilitiamo durante la COP29, che per il secondo anno di fila si tiene in un paese che non solo fonda la sua economia sulla produzione di combustibili fossili ma mira ad aumentarla di oltre il 30% nel prossimo decennio, l’Azerbaijan“.
Le richieste del Climate Pride
In sintesi, con il Climate Pride si è posto l’accento sulla necessità di ottenere giustizia climatica, chiedendo che la COP29 assicuri risorse finanziarie sufficienti per supportare i Most Affected People And Areas (MAPA) e cioè le persone e i territori più colpiti dalla crisi climatica. Solo così sarà possibile accelerare una transizione ecologica equa e globale, necessaria per contenere il riscaldamento del pianeta entro la soglia critica di 1.5° C. Come ricordano le associazioni, l’Alleanza dei piccoli Stati insulari (AOSIS) ha stimato che servono almeno 1.000 miliardi di dollari all’anno da destinare alle perdite e danni (loss & damage) e adattamento e mitigazione, attraverso fondi pubblici messi a disposizione dai Paesi industrializzati.
Le associazioni hanno poi portato in piazza la richiesta di misure urgenti come la cancellazione del debito dei Paesi più colpiti, per permettere loro di investire nella lotta ai cambiamenti climatici. Fondamentale è anche la condivisione delle tecnologie necessarie alla transizione ecologica, superando l’attuale sistema di brevetti che avvantaggia solo i Paesi più ricchi.
Un’altra priorità è l’abolizione del mercato dei crediti di carbonio e biodiversità, ritenuti strumenti di compensazione inefficaci e dannosi, con un riferimento specifico ai progetti Redd+ (Riduzione delle emissioni da deforestazione).
Il messaggio delle associazioni è chiaro: bisogna abbandonare il modello di sviluppo basato sui combustibili fossili che, tra le altre cose, incentiva ingiustizie e conflitti. Le richieste, quindi, includono l’elaborazione di un’eliminazione graduale precisa e vincolante delle fonti fossili che si basi sulla base delle emissioni cumulative storiche di ogni paese. Per questo motivo è stato anche chiesto che le aziende fossili vengano escluse a partecipare alla COP e che tutti gli enti finanziari, sia pubblici che privati, rispettino delle rigorose politiche di decarbonizzazione.
A tal proposito, per l’Italia è stata chiesta la revisione del Piano Nazionale Energia e Clima perché ancora troppo legato al fossile e a false soluzioni come il nucleare. Gli investimenti, secondo le associazioni, devono concentrarsi su energie rinnovabili partecipate e trasparenti, trasporti sostenibili e gratuiti, comunità energetiche solidali e sulla riconversione degli allevamenti intensivi.
Le associazioni hanno anche denunciato come gli eventi climatici estremi, aggravati da una cattiva gestione del territorio, richiedano politiche di adattamento adeguate. Queste includono un fondo internazionale di solidarietà e un Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici, con risorse sufficienti per rinaturalizzare fiumi e aree urbane. Coinvolgere le comunità locali in interventi di prevenzione è un’altra priorità per limitare le perdite umane e ambientali.
La giustizia climatica, hanno sottolineato, è inseparabile dalla giustizia sociale. Le associazioni rifiutano la criminalizzazione del dissenso e dell’attivismo. Si oppongono anche alla retorica anti-migranti, ricordando che molti fuggono dagli effetti della crisi climatica, spesso aggravata dai Paesi più ricchi.
Infine, le associazioni hanno sottolineato l’importanza di una cultura rigenerativa ed ecocentrica per trasformare il rapporto tra umanità e ambiente. Hanno chiesto un maggiore impegno per l’educazione climatica nelle scuole e la promozione di saperi collettivi, slegati dagli interessi delle industrie fossili. Secondo loro, una visione ecologica e solidale del pianeta è l’unica strada per garantire un futuro sostenibile e inclusivo.
Il manifesto
“Noi esseri umani che apparteniamo alle associazioni ambientaliste e sociali, noi che siamo cittadine e cittadini di ogni età, studenti, lavoratori e lavoratrici di tutte le nazionalità e religioni, ci uniamo al Climate Pride, ci uniamo a coloro che hanno realmente convocato il Climate Pride: animali e piante di ogni forma e dimensione, funghi, batteri e virus, ogni organismo è coinvolto”, recita parte del manifesto delle 70 e oltre associazioni coinvolte.