Un manifesto a lutto, listato di nero.
“Taranto, zona di sacrificio. Una macchia indelebile sulla coscienza dell’umanità. Spesso create dalla collusione di governi e imprese, le zone di sacrificio sono l’opposto dello sviluppo sostenibile, danneggiando gli interessi di generazioni presenti e future. Le persone che abitano nella zone di sacrificio sono trattate come usa e getta, le loro voci ignorate, la loro presenza esclusa dai processi decisionali e la loro dignità e diritti umani calpestati. L’Acciaieria Ilva di Taranto in Italia, da decenni compromette la salute delle persone e viola i diritti umani scaricando enormi volumi di inquinamento atmosferico tossico.
Parole dure, di denuncia, tratte dal Rapporto della Commissione ONU sui diritti umani del 12 gennaio 2022, resa nota il 15 febbraio 2022, passate quasi sottosilenzio tra le cronache di guerra, della pandemia, della crisi climatica ed economica. Sul territorio, in regione Puglia, in Parlamento.
Da oggi sono affisse in Viale Magna Grecia, una delle principali arterie di collegamento di quella che è stata davvero capitale della Magna Grecia, tra la città vecchia e la città nuova. Accompagnate da un simbolico flash mob promosso dai Genitori Tarantini di cittadine, cittadini, bambini con le bocche sigillate, senza voce.

Sotto il manifesto, in sacchi della spazzatura, la metafora atroce di ciò che è oggi, per le Istituzioni, il destino di Taranto e dei tarantini che sentono trattati come “rifiuti” la cultura, l’immenso patrimonio archeologico, l’agricoltura, il mare, il commercio, la pesca. Ogni attività professionale non legata all’indotto dell’ILVA ora Acciaierie d’Italia, è soffocata dall’inquinamento prodotto dal più grande polo siderurgico d’Europa che sta andando a massimo regime, emettendo sostanze cangerogene certe, come il benzo-a-pirene.
A nulla sono valsi finora il sequestro degli impianti fuori norma e ancora operanti, nonostante l’intervento della magistratura di oramai dieci anni fa, la condanna in primo grado nel processo Ambiente Svenduto di esattamente un anno fa. Nonostante le cinque condanne della Corte Europea per i Diritti Umani (CEDU) per lo Stato e il governo italiano (la prima nel 2019, le altre nel 2022), resosi colpevole di non aver rispettato il diritto ad una vita privata ai cittadini tarantini e aver favorito la produzione dell’acciaio. Impossibile per chi vive intorno allo stabilimento, nato come Italsider, azienda di Stato negli anni ’60, costruito ben dopo il quartiere dei Tamburi, sdradicando migliaia di ulivi. E posto in modo assurdo proprio più vicino al centro storico, per sfruttare la vicinanza con il porto.
La CEDU ha respinto tutte le osservazioni di difesa del governo italiano e ha accertato che lo Stato italiano continua ancora oggi a non tutelare la salute dei cittadini dagli effetti delle emissioni nocive del siderurgico. Proprio nel rapporto ONU viene ribadito come “le attività di pulizia e bonifica che avrebbero dovuto iniziare nel 2012 sono state posticipate al 2023, con l’introduzione da parte del Governo di appositi decreti legislativi che consentono all’impianto di continuare a funzionare. Nel 2019 la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha concluso che l’inquinamento ambientale continuava, mettendo in pericolo la salute dei ricorrenti e, più in generale, quella dell’intera popolazione residente nelle aree a rischio”.
Eppure, dopo innumerevoli decreti “Salva-Ilva”, varati ciclicamente da tutti gli esecutivi dal 2012 a oggi, che hanno creato un sistema di regole che va in deroga alle norme ambientali vigenti sul resto del territorio italiano, anche l’uscente governo Draghi non è stato da meno.
L’ultimo decreto dell’esecutivo dei migliori, lo scorso 5 agosto è stato riservato a Taranto. Ma non per risollevare la città, per alleviarla dall’inquinamento, per avviare una fantomatica decarbonizzazione, per ora rimasta nel libro dei sogni (anche perché sarebbe necessario l’idrogeno, ma mancano ancora le linee attuative del piano nazionale che il ministero della Transizione Ecologica non ha mai varato).
Un miliardo di euro andrà con ogni probabilità a ripianare le difficoltà economiche dello stabilimento o a una ricapitalizzazione pubblica, dopo la stagione delle fallimentari privatizzazioni.
Non per garantire il diritto ad avere un ambiente sano a tutela delle generazioni future come sancisce l’articolo 9 della Costituzione italiana. Mentre dal 2012 con il rapporto Sentieri dell’Istituto Superiore di Sanità, in poi, studi e dati attestano le malattie precoci, i tumori sui bambini e le bambine di Taranto.
Non a risollevare turismo, cultura, un nuovo modello di sviluppo per il futuro per la città.
Proprio nei giorni in cui l’opione pubblica apprendeva del rapporto ONU che metteva Taranto tra le zone di sacrificio umano più inquinate della Terra, venivano approvati dal Parlamento le modifiche agli articoli 9 e 41 della nostra Costituzione. E proprio quest’ultimo lo sancisce, finalmente:
L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.
Così, ora a Taranto non è. E non possiamo ignorarlo, neppure in campagna elettorale.
Le risposte mancate sul futuro per questa comunità sono quelle mancate sul futuro sostenibile del nostro Paese.

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