Un’emergenza sanitaria che sembra non avere fine a Taranto. No, non stiamo parlando di Coronavirus, ma di un problema che affligge la comunità tarantina da molto più tempo: l’inquinamento causato dall’Ilva.
Un altro bambino, Vincenzo Semeraro non ancora undicenne, è venuto a mancare pochi giorni fa. Affetto da un raro tumore alle ossa (linfoma linfoblastico primitivo nelle ossa), è morto presso l’ospedale Bambin Gesù di Roma per Covid mentre era nella capitale in cura per l’immunoterapia e per affrontare un trapianto, sperando di poter curare il tumore. Anche lui residente al quartiere Tamburi, il quartiere posizionato nei pressi dello stabilimento che da molti bambini è stato soprannominato “il grande mostro”.

E dove, la dottoressa Annamaria Moschetti, medico pediatra dell’ISDE (Associazione Medici per l’Ambiente), presidente della Commissione Ambiente dell’Ordine dei Medici di Taranto e responsabile dell’associazione Culturale Pediatri di Puglia e Basilicata per le malattie dei bambini legate all’inquinamento, in un post su Facebook, ricorda ancora una volta questo tragico evento riassumendo anni di tristezza così: “Vincenzo è morto. Aveva 11 anni e viveva nel quartiere Tamburi di Taranto. Viveva esposto alle sostanze ad azione cancerogena certa immesse nell’aria dall’impianto siderurgico costruito a ridosso della città. È morto. Di tumore. Oggi. È plausibile ed è probabile che l’esposizione alle sostanze cancerogene abbia determinato o concorso a determinare il cancro che ha ucciso il bambino. La politica trasversalmente ha deciso che gli impianti devono rimanere in marcia. Altri bambini già in utero saranno esposti alle sostanze cancerogene immesse in ambiente dall’ILVA e questo li esporrà al rischio di ammalarsi e morire. Evidentemente non gliene importa niente a nessuno.” 

Nel lontano 2012, quando gli impianti dell’Ilva furono messi sotto sequestro, il GIP Patrizia Todisco della Procura di Taranto, nelle conclusioni al Decreto di Sequestro, apostrofava con queste parole la già drammatica situazione tarantina: “non un altro bambino, non un altro abitante di questa sfortunata città, non un altro lavoratore dell’Ilva, abbia ancora ad ammalarsi o a morire o ad essere comunque esposto a tali pericoli, a causa delle emissioni tossiche del siderurgico”.
Taranto è la città nella quale l’incidenza dei tumori tra i bambini (nella fascia d’età compresa tra 0 e 14 anni) è del 54% in più rispetto al resto della regione, la mortalità infantile registrata per tutte le cause è maggiore del 21%, la mortalità nel primo anno di vita è del +20% e del +45% di malattie iniziate già in fase di gestazione ed anche il latte materno risulta contaminato, come risulta dal Rapporto Sentieri del 2012.

Una tragedia senza fine che, ancora una volta, sembra quasi passare in secondo piano rispetto alle discussioni sulle mere vicende economiche sottostanti all’accordo tra ArcelorMittal e il Governo, la cui firma è slittata all’11 dicembre. Negli ultimi anni si sono susseguiti tutta una serie di Decreti Salva-Ilva che, stando ai dati forniti ad esempio da Peacelink, hanno salvaguardato solo in parte due diritti fondamentali, ambiente e salute. Eppure proprio la crisi sanitaria Covid-19 ha fatto comprendere l’importante della salute cosi come le parole del Premier Conte l’11 marzo ad inizio emergenza avevano sottolineato: “ho fatto un patto con la mia coscienza. Al primo posto c’è e ci sarà sempre la salute degli italiani”. Parole che ascoltate da Taranto hanno un altro peso. E che non sono state dimenticate dai Genitori Tarantini ETS che proprio in una lettera al Presidente Conte che si può ancora sottoscrivere a questo link, hanno ricordato come anche nella città pugliese “la salute è il primo diritto da tutelare”.

Mentre si sta facendo una battaglia quotidiana per riaprire le scuole in tutto il paese durante la pandemia, a Taranto, quando ci sono i cosiddetti Wind Days (giornate in cui il vento soffia forte sulla città trasportando le polveri dell’Ilva sui quartieri circostanti) i bambini devono rimanere chiusi in casa. La Corte Europea per i diritti umani, ricordiamo, con la sentenza del 24 gennaio 2019 ha condannato l’Italia per non aver protetto i cittadini di Taranto dalle conseguenze drammatiche dell’elevato inquinamento causato dalle attività dell’Ilva, violando gli articoli 8 e 13 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.

Grafico dei dati delle centraline installate al quartiere Tamburi con confronto con le centraline in Ilva, fonte: Alessandro Marescotti


Eppure si continua a inquinare e il 24 novembre, come dimostra il grafico condiviso su Facebook da Alessandro Marescotti, presidente di Peacelink, le centraline installate nel quartiere Tamburi hanno registrato il valore più alto di sempre di benzene, classificato dalla IARC (Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro) come un cancerogeno certo. Eppure se diminuisce la produzione, non diminuisce l’inquinamento, come si evince dal grafico sottostante e come denuncia ancora Alessandro Marescotti, su Twitter affermando che: “nonostante la produzione sia scesa da 4,7 (dato 2019) a 3,2 (proiezione 2020) milioni di t/a di acciaio, l’inquinamento non è diminuito per via del cattivo funzionamento degli impianti privi di adeguata manutenzione”.

Fonte: Alessandro Marescotti

Nelle stesse giornate, il governo italiano, tramite la partecipata Invitalia, ha così deciso di entrare nell’amministrazione Ilva.
I punti salienti, descritti da Domenico Arcuri, amministratore delegato di Invitalia, a fronte di un investimento di più di 2 miliardi di euro, possono essere così riassunti:
Invitalia entra con una quota pari al 50% nel capitale di Ilva, fissandosi come obiettivo a breve termine il raggiungimento del 60%
-creazione del più grande impianto di produzione di acciaio “verde” in Europa arrivando a produrre nel giro di poco tempo fino a 8 milioni di tonnellate/annue, facendo sì che anche l’occupazione si stabilizzi: per il 2021 un massimo di 3000 persone in cassa integrazione, 2500 nel 2022 fino ad arrivare a 0 cassa integrati nel 2025;
-uno degli obbiettivi che si è fissata Invitalia riguarda anche la progressiva decarbonizzazione con la realizzazione di 2 altiforni elettrici, lo spegnimento dei due altiforni più vecchi e la rimessa in funzione dell’altoforno 5;
-per abbassare i livelli di inquinamento, l’obiettivo è la riduzione dei livelli di ossido di carbonio del 93%, del 90% per le diossine, invece per le polveri sottili e la CO2 del 78%

A questo link, puoi trovare alcune delle inchieste di Cittadini Reattivi su Ilva, Taranto e ArcelorMittal.

A fronte di questa situazione l’Associazione Genitori Tarantini ETS, ha presentato alla Procura di Roma un esposto-denuncia per capire se le affermazioni rivelatesi false da parte di ministri e politici possono costituire reato e se, dietro a quelle che considerano “dichiarazioni mendace”, si nascondano ben più gravi reati. La denuncia dell’associazione riguarda alcuni punti strategici della vicenda Ilva susseguitesi negli ultimi mesi: i ritardi sul mancato adempimento del piano ambientale da parte di ArcelorMittal con uno scambio di colpe tra il Governo e la multinazionale, la concessione agli affittuari dello stabilimento di recedere dal contratto di affitto a titolo gratuito quindi senza alcuna penale, oppure che, l’aumento previsto con l’ingresso di Invitalia della produzione a 8 tonnellate, sarà ripartita in 6 tonnellate con l’attuale ciclo integrato continuo, quindi, con il mantenimento in funzione delle cokerie e le altre 2 tonnellate rimanenti prodotte con la costruzione di forni elettrici. Denunciano ancora che “il nuovo accordo prevede la continuazione della produzione con impianti ancora sotto sequestro, illegali in quanto non sono state realizzate le prescrizioni AIA nei tempi prestabiliti.”
Anche i ragazzi di Fridays For Future Taranto prendono posizione sull’accordo tra Governo e ArcelorMittal, con questo video sui social. Anche loro, come molti giovani tarantini, chiedono la chiusura dello stabilimento.  

Immagine tratta dal profilo Facebook di Luciano Manna, Veraleaks.

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